Tutto gratis. I nuovi signori del web, proprietari di imperi miliardari, sembrano dei filantropi interessati solo al nostro intrattenimento. E invece, tra “mi piace”, selfie e twitter, sempre collegati con il mondo, siamo diventati senza accorgercene parte di un modo tutto nuovo di fare business. Ma come fanno Facebook, Twitter, Snapchat, Instagram, Google e tutte le varie app per smartphone e tablet a fare soldi? Perché dietro la loro bella facciata social si nascondono montagne di denaro e gigantesche speculazioni finanziarie.
Indagine di mercato
Nell’ultimo biennio abbiamo assistito ad un’ondata di acquisizioni, con Facebook a fare la parte del leone aggiudicandosi Instagram per un miliardo di dollari e Whatsapp per la bellezza di 19. Senza dimenticare la recentissima mossa di Microsoft, che si è portata a casa il social network professionale Linkedin per l’incredibile cifra di 26,2 miliardi di dollari. E per di più in contanti. Un mercato senza dubbio in grande salute e che continua a crescere: nel 2015 Facebook ha chiuso il fatturato a circa 18 miliardi di dollari, con una crescita del 44 per cento. E non è neanche più una novità che i social vengano quotati in borsa, entrando da pesi massimi nel ring della finanza globale. «Tantissimi soldi mossi da piattaforme gratuite, un apparente controsenso – prova a spiegare Fabio Viola, professore di design informatico allo Ied (Istituto europeo di design) e tra i massimi esperti di social e web 2.0 –. Larga parte della nostra vita privata e professionale transita ormai lungo i principali social network e i dati e preferenze personali che, più o meno consapevolmente, lasciamo all’interno di questi ambienti virtuali hanno un valore enorme per le aziende. La fonte di tali guadagni è largamente da attribuire alla pubblicità che milioni di piccolissimi e grandi inserzionisti acquistano ogni giorno in virtù delle sempre maggiori possibilità di individuare e raggiungere target ultra segmentati» afferma Viola.
Dati di fatto
Così, ad esempio, i dati che noi rilasciamo alle piattaforme consentono a un piccolo negozio che vende articoli speciali per la pesca di raggiungere persone nel raggio di 10 km che seguono gruppi Facebook relativi all’argomento. Le informazioni sono denaro, scambiate dai data broker in pacchetti come le azioni in borsa. Acxiom, ad esempio, colosso del brokeraggio dei dati con un fatturato da 1,1 miliardi di dollari, un database di 700 milioni di persone e un portfolio di 7mila clienti, aggrega e trasforma in bene rivendibile sul mercato i nostri dati, che sono dunque il prezzo da pagare a social gratuiti solo in apparenza. È un industria miliardaria che si muove nell’ombra, perché non regolamentata, che cresce ogni giorno grazie alla domanda di sempre maggiori informazioni sul conto dei propri clienti da parte delle multinazionali – non a caso i dati di consumo sono stati definiti il nuovo petrolio –. Mentre gli utenti si divertono a condividere e spiare le vite degli altri, Facebook e il resto della banda fanno soldi a palate: «È tutto molto bello e pieno di nuove possibilità, ma – ricorda Viola – tutto ciò che vediamo e su cui speculano i social è la nostra privacy, tema largamente correlato all’alfabetizzazione degli internauti. La generazione degli under 20 è quella più consapevole e tra le impostazioni e gli strumenti sa muoversi in anonimato, tutelandosi, mentre larga parte della popolazione mondiale accede alla rete, ma solo in pochi sono realmente in grado di comprenderla e padroneggiarla». E intanto i social facendosi gli affari nostri fanno affari d’oro.
Interessi in gioco
Il grande business dei videogiochi.
L’economia del web 2.0 e dei social passa anche dai videogiochi. Il loro mercato è passato da 0 a circa 100 miliardi di fatturato nel 2016 in meno di 40 anni, facendone la più importante industria dell’intrattenimento (solo in Italia conta circa 29 milioni di giocatori con una eguale distribuzione tra uomini e donne). Un grandissimo contributo è arrivato negli ultimi anni dai giochi fruibili attraverso smartphone e tablet favorendo un nuovo modo di fare affari: dalla storica modalità pay per play, in cui il giocatore paga in anticipo un certo corrispettivo per poter acquistare/ installare/scaricare il gioco, si è passati a una free to play. Il free sta per gratuità nel download iniziale, e la monetizzazione avviene attraverso micro-transazioni, piccoli acquisti anche di pochi centesimi utili per espandere il mondo virtuale, velocizzare o personalizzare l’esperienza di gioco. Questo ha portato aziende come la finlandese Supercell, valutata 10 miliardi di dollari, a generare oltre 3 milioni di dollari al giorno con questo sistema.