Protagonista della dieta mediterranea e ambasciatore del made in Italy, il pomodoro è un prodotto in cui eccelliamo nella produzione e nei consumi. Con poco più di 1 milione di tonnellate, l’Italia è seconda in Europa dopo la Spagna per la produzione di pomodoro da mensa. Una scelta, quella degli italiani, dettata dalle tradizioni gastronomiche, ma anche dalla consapevolezza dei vantaggi per la salute. Il pomodoro è infatti ricco di vitamina C e betacarotene e ha un’azione rinfrescante, dissetante e diuretica. Grazie al ricco contenuto di acido malico, acido arabico e acido lattico, facilita la digestione. Inoltre, aumenta la salivazione, stimola l’appetito e rigenera i tessuti. Utile per chi ha problemi di stitichezza, può essere consumato tranquillamente da chi è a dieta in quanto poverissimo di calorie.
Sindrome cinese
Ci hanno visto lungo i nostri antenati che, dopo l’introduzione del pomodoro in Europa da parte degli spagnoli nel Cinquecento, iniziarono subito a consumarlo senza timori, mentre altre popolazioni d’Europa lo accolsero con diffidenza, coltivandolo per lungo tempo come semplice pianta ornamentale. Ora in molti ci contendono la produzione e cercano perfino di conquistare i nostri mercati: i principali coltivatori sono gli americani (oltre 10 milioni di tonnellate), i russi (5,6 milioni), e dopo di noi (5,2 milioni) i cinesi (3 milioni e mezzo). Proprio dall’Asia arriva il pericolo maggiore: secondo la Coldiretti, le importazioni di concentrato di pomodoro cinese sono aumentate del 680 per cento e hanno raggiunto circa 70 milioni di chilogrammi nel 2015. Ma si tratta di rischi a livello industriale: nel frutto fresco i nostri agricoltori sono in grado di tenere a bada gli esportatori stranieri ed eventualmente approfittare di nuove scoperte. Così sul mercato nazionale sono arrivate le varietà d’Oltreoceano.
Dritto al cuore
È il caso del pomodoro Cuore di bue, proveniente dagli Stati Uniti, il cui nome deriva dalla forma caratteristica e dalla pezzatura piuttosto grossa, che può variare dai 200 ai 500 grammi. Due le varietà coltivate in Italia: Arawak e di Albenga. Il primo è diffuso in tutta la penisola, ma soprattutto in Liguria e Piemonte. Ha una forma che ricorda molto quella della pera, con delle parti costolute non molto accentuate; può avere un colore rosa, verde oppure rosso. La polpa è molto abbondante e quasi non presenta parti acquose. In cucina è molto usato per preparare insalate oppure sughi. In commercio lo si può trovare quasi per l’intero periodo dell’anno. Il pomodoro Cuore di bue di Albenga è frutto dell’unione di varie specie; presenta una polpa dal sapore dolce, è poco acidulo, ha una forma di cuore molto costoluta e grandi dimensioni. Il colore può essere rosso o arancio. In cucina il Cuore di bue si è affermato a partire dagli anni Ottanta: da allora ha cominciato ad essere apprezzato per la polpa consistente, pochi semi, poco succo, il sapore dolce e per niente acidulo, la buccia liscia piuttosto sottile.
Vai col tondo liscio
Un successo che però non è riuscito a scalfire la supremazia del pomodoro tondo, una delle varietà classiche usata soprattutto per preparare insalate. Sul mercato se ne possono trovare di varie dimensioni, a grappolo oppure singoli, sempre di un rosso molto vivo. Il tondo liscio è molto consumato e apprezzato in quanto presenta una polpa molto consistente e si conserva a lungo. Tra le varietà, quelle molto amate sono il pomodoro Camone, originario della Sardegna, molto resistente alle malattie, dal sapore deciso e di consistenza croccante, e il pomodoro Ikram, varietà che si sviluppa a grappolo, ognuno dei quali può portare fino a 6 frutti. Quest’ultimo si trova durante tutto l’anno, può conservarsi per circa 2 settimane ed è particolarmente adatto per cottura, insalate, salse. Molto utilizzato in cucina, è particolarmente indicato in caso di cottura prolungata, in quanto la sua consistenza gli permette di non spappolarsi in poco tempo. Ma nel futuro dei nostri piatti potrebbe esserci il superpomodoro con la buccia nera ad altissimo contenuto di antiossidanti. Sviluppato dai ricercatori della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa e dalle Università di Tuscia, Modena e Reggio Emilia, il Sunblack non è un ogm ed è ottenuto dalla tecnica dell’incrocio. Vedremo se l’estro e la creatività della cucina italiana saprà sfruttare l’innovazione in nome della salute e della longevità.