Cuore d’oro

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26 Gennaio 2017
Buono in tutti i sensi, il cuore di chi non porta rancore e sa perdonare.

Correre, nuotare, giocare a tennis. E perdonare.

 

Come tante altre attività sportive, assolvere chi ci ha ferito e fatto soffrire rappresenta un ottimo balsamo per il fisico, oltre che per l’anima. Perdonare, infatti, si traduce in un calo della pressione, minori sintomi depressivi e un senso di benessere generale, con il risultato – sostengono gli scienziati – che chi sa condonare gli sbagli riduce il rischio di sviluppare malattie cardiache e disturbi mentali scatenati dal ricordo ossessivo dell’offesa. Serbare rancore e rimuginare sui torti subiti, per contro, costa molto anche in termini fisici: l’accumulo di stress si può tradurre in forme di somatizzazione come ulcere e gastriti e incidere sulla qualità del sonno.

«Il rancore produce quella che viene definita ruminazione mentale, spesso uno degli aspetti chiave in questo tipo di disturbi», dichiara il neuropsichiatra Stefano Pallanti. Un meccanismo autodistruttivo che può essere bloccato proprio grazie al perdono con effetti benefici soprattutto per il cuore. Lo ha dimostrato la ricerca condotta dall’équipe di Britta Larsen del Department of Psychology and Philosophy dell’Università della California di San Diego. Lo studio ha evidenziato i meccanismi con i quali il perdono agisce positivamente sull’apparato cardiovascolare anche a lungo termine. L’indagine chiedeva ai partecipanti di ripensare a un’offesa ricevuta, prima lasciando fluire la rabbia connessa all’evento e successivamente cercando di raggiungere una posizione interiore di perdono verso la persona responsabile del torto. Nel corso del processo i ricercatori rilevavano la pressione arteriosa, minima e massima, nonché la frequenza cardiaca. Parametri cardiovascolari comparati poi con quelli rilevati nei momenti in cui gli studenti venivano semplicemente distratti dalla loro rabbia. Le persone distratte dal ricordo offensivo avevano all’inizio livelli inferiori di pressione arteriosa (come quelli che avevano perdonato) rispetto a quelli concentrati sulla ruminazione rabbiosa; in seguito però la loro pressione, soprattutto la minima, è risultata più alta rispetto a quella di coloro che avevano effettivamente perdonato.

“Il nostro – ha scritto Larsen nell’articolo pubblicato sulla rivista Psychosomatic Medicine – è il primo studio che indica come focalizzarsi sul perdono sia non solo protettivo in quel preciso momento, ma possa offrire una difesa anche successiva attraverso un cambiamento del modo in cui gli individui rispondono al fenomeno della ruminazione psicologica sull’evento che può ripresentarsi nel futuro”. Segno che un cuore che sa perdonare non solo è un cuore grande ma anche più sano.