Dolce un po’ salato

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23 Marzo 2017
Tutti i sapori tenuti insieme: così si cucinava un tempo. Il caso del timballo descritto da Tomasi di Lampedusa ne Il Gattopardo
di Massimo Montanari

Sfida a MasterChef ai primi di febbraio: realizzare un timballo di maccheroni secondo la ricetta de Il Gattopardo. Alla riapertura annuale del palazzo di Donnafugata, una cena solenne accoglie il principe di Salina e la sua famiglia. Il piatto-simbolo della cena, lo spettacolo nello spettacolo è il timballo che Tomasi di Lampedusa evoca con queste parole: «L’oro brunito dell’involucro, la fragranza di zucchero e di cannella che ne emanava, non era che il preludio della sensazione di delizia che si sprigionava dall’interno quando il coltello squarciava la crosta: ne erompeva dapprima un fumo carico di aromi e si scorgevano poi i fegatini di pollo, le ovette dure, le sfilettature di prosciutto, di pollo e di tartufi nella massa untuosa, caldissima dei maccheroni corti, cui l’estratto di carne conferiva un prezioso color camoscio». Una preparazione molto elaborata, un pezzo di bravura di realizzazione particolarmente difficile. Non solo per la complessità della procedura, ma per la sua sostanziale estraneità al gusto d’oggi, alla nostra cultura. La ricetta del timballo, in tutte le possibili varianti che l’accompagnano è, infatti, su una tavola dei nostri giorni, una sorta di reperto storico. Proviene direttamente dalla cultura medievale, dalla cucina di secoli e secoli fa. Una cucina che è tradizione, certo, ma una tradizione che ha lasciato pallide tracce di sé. Fossili di un mondo che non c’è più, in un contesto radicalmente cambiato. Una vera mutazione del gusto si è, infatti, verificata dal Medioevo a oggi.
Il gusto moderno, sviluppatosi in Francia (e più tardi in Italia) dal XVII-XVIII secolo, ha focalizzato l’attenzione sui sapori naturali dei prodotti, sulla distinzione dei sapori, assegnando a ciascuno di essi (il dolce e il salato, l’amaro, l’acido...) un posto preciso nel menu e un ruolo prevalente nella vivanda. “Dolce o salato?” è una domanda abituale che sentiamo sui treni ad alta velocità con servizio ristoro. Quella domanda avrebbe forse disorientato i nostri avi. Per un uomo del Medioevo, una vivanda non era dolce “o” salata, bensì dolce “e” salata. Perché quel sistema gastronomico – e le strutture del gusto che lo sostenevano – era il frutto di radicate convinzioni dietetiche che assegnavano a ogni sapore una determinata e diversa caratteristica nutrizionale, e preferivano tenere insieme i sapori, amalgamarli (non distinguerli) per assicurarsi un cibo più completo e salutare.

Il timballo di maccheroni, che racchiude ingredienti salati, acidi e piccanti in una crosta dolce e grassa, è un esempio tipico di questo gusto e di questa cultura. Serbarne il ricordo è interessante, stimolante, suggestivo, come ogni viaggio in paesi lontani. Poi si ritorna a casa, e la prova di MasterChef ne conserva il ricordo.