Era mio padre

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Con Walter Veltroni parliamo del suo ultimo libro, Ciao, che racconta l’immaginario incontro con il padre perduto.
di Maria Antonietta Schiavina

Cronaca di un incontro tanto desiderato quanto impossibile. È quella del libro Ciao (Rizzoli) scritto dall’ex segretario del Pd, già sindaco di Roma e ministro per i beni culturali, Walter Veltroni, che immagina, nel tornare a casa in una sera d’agosto, di trovare seduto sulle scale il padre Vittorio, celebre giornalista Rai, scomparso a 37 anni per una leucemia fulminante, quando lui era troppo piccolo per capire il dolore che gli avrebbe in seguito provocato quell’assenza. Al punto da fargli trascorrere una vita a guardare le fotografie del papà perduto, a toccare gli oggetti a lui appartenuti, ad avvolgersi nei suoi vestiti per sentirlo vicino, ad ascoltarne la voce.

Fino a inventarsi un dialogo immaginario. «Volevo raccontare – spiega Veltroni – ciò che ho atteso per tutta la vita, con le mancanze che un figlio sente quando non può condividere momenti più o meno importanti, ma sempre unici, con un genitore che non ha mai conosciuto e che a mano a mano che il tempo passa gli manca sempre di più... È stato come un sogno a cui poi ho voluto dare forma, annotando le mie sensazioni: mentre scrivevo, seduto al computer nel mio studio, immaginavo di avere papà accanto e spesso mi giravo per capire se c’era davvero».

Ciao è dunque una sorta di proiezione di un desiderio infantile che si è protratto nel tempo?
«Sì. Anche se, pagina dopo pagina, mi sono reso conto che non stavo raccontando una storia solo personale, ma quella di tutti i padri e i figli. E mi è sembrato che il modo migliore per descrivere il mio dolore fosse proprio una sorta di dialogo fantastico fra due persone dello stesso sangue, che non si sono mai conosciute e che, per assurdo, oggi potrebbero avere le età rovesciate, come se papà diventasse a un certo punto mio figlio».

Ogni figlio che perde, a qualunque età, un genitore, si lascia dietro cose non dette. Rimpianti, talvolta rimorsi. Se oggi lei potesse fare una sola domanda a papà Vittorio quale sceglierebbe?
«Gli chiederei se è orgoglioso di me. Se ciò che ho fatto nella mia vita privata e lavorativa gli è piaciuto, se è soddisfatto delle mie scelte anche politiche, se avrebbe voluto un Walter diverso. Mi piacerebbe, dal momento che se ne è andato proprio quando stava spiccando il volo nella vita e nella carriera, che sentisse che qualcosa di lui è rimasto in me».

Attraverso i ricordi intimi, però, racconta anche l’Italia e la sua storia.
«Il dialogo che ho inventato è fra due persone che non solo parlano di loro ma di ciò che appartiene alla loro vita. Perciò la storia che, per il mestiere di radiocronista, papà ha sempre raccontato e quella che, per il mio lavoro e per il ruolo che ho avuto, ho vissuto io si sono unite in una sorta di testimonianza di due epoche. Tant’è che la parte personale e quella la collettiva si intrecciano, confrontando l’ Italia dei due diversi periodi».

Che differenza c’è fra l’epoca vissuta da suo padre, la sua e quella dei giovani di oggi?
«Le nostre erano animate dal sogno. Adesso i giovani hanno una grande energia e un forte desiderio di cambiamento. Sognano ugualmente, ma fanno molta più fatica a realizzare i loro progetti».