Filo di scozia

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I castelli sparsi ovunque, il fragore dei torrenti che si mischia al sibilo del vento e al suono delle cornamuse, le scogliere scoscese, i laghi con o senza mostri leggendari, che sbucano come crateri, il cielo cupo senza il quale l’atmosfera da fiaba non sarebbe la stessa. La verde Scozia in cui il tragitto è più bello delle singole destinazioni.
di Alessandra Bartoli

L’occupazione più divertente per un turista in Scozia è dilettarsi col gioco delle differenze con la vicina Inghilterra. Ci sono la bandiera e l’architettura. La lingua, almeno in parte, visto che insieme allo scottish english, molti autoctoni comunicano in scots (idioma germanico) e pochi, ormai pochissimi, in gaelico. Alla Tv, nelle case ma anche nei pub, si guarda poco calcio e molto rugby, se non addirittura sport bizzarri come gli Highland Games, dove non ci sono palle ma fasci di fieno e tronchi di legno. E si tende a cambiare canale se il tema di una trasmissione sono William, Kate e i loro rampolli, anche se l’amore regale proprio in terra scozzese sbocciò, all’università St. Andrew’s. Volendo approfondire, poi, si arriva alle differenze del sistema legale e di quello scolastico, alle tendenze politiche (più laburiste in Scozia, conservatrici in Inghilterra), alle diverse concezioni di stato sociale. Fino a due anni fa, sembrava che tutto questo bastasse a sancire la divisione della Scozia dalla Gran Bretagna, e invece al referendum del 2014 hanno vinto gli unionisti. Di poco, però hanno vinto.

Itinerario di viaggio

E allora un gioco più costruttivo può essere quello di trovare le somiglianze. Oltre alla guida a destra, ciò che salta subito all’occhio è una cultura gastronomica trash al pari di quella inglese. Per rendere l’idea basta citare l’haggis, piatto nazionale, un insaccato di interiora di pecora macinate con cipolla, grasso di rognone, farina d’avena, sale e spezie, mescolati con brodo e bollite tradizionalmente nello stomaco dell’animale. Per ore ed ore. Piatto poco adatto a escursioni in Land Rover lungo strade che serpeggiano strettissime tra montagne imponenti e foreste che scendono fino al mare. Visto che questo, però, è il modo migliore per girare il paese, a volte è meglio ricorrere ad uno snack per placare la fame: tra i più amati in loco c’è la deep fried Mars bar, barretta di cioccolato Mars fritta. Solo agli scozzesi poteva venire in mente di friggere il Mars. O agli inglesi, naturalmente. Una volta risolto il problema del cibo, l’imperativo è andare. Muoversi. Spostarsi. In Land Rover, in mountain bike o facendo trekking, ognuno troverà la modalità che gli è più congeniale, ma fare un viaggio stanziale in Scozia è quasi un controsenso, visto che spesso il tragitto da un luogo all’altro è più entusiasmante delle singole destinazioni.

In senso orario

Edimburgo è bellissima, con il suo impianto un po’ medievale un po’ neoclassico, il suo maestoso castello arroccato su un vulcano estinto e i suoi sterminati Princes Gardens, che anticipano il dominio che il colore verde esercita in tutto il Paese. E lo sono anche Glasgow – un po’ meno, a dire il vero –, città di industrie e cantieri navali dove alcuni vecchi mercati coperti sono diventati auditorium e i parchi ospitano spettacoli teatrali e musicali (soprattutto durante il West End Festival, a giugno) e Inverness, dove si può dormire in un castello e fare colazione al mattino insieme a cervi e falchi. Il consiglio delle guide è proprio questo, partire da Edimburgo e girare la Scozia in senso orario, arrivando alla fine nella selvaggia regione delle Highlands, di cui Inverness è il punto di partenza. Guai a lamentarsi della pioggia: la regola è ignorarla, senza dimenticare che anch’essa contribuisce all’atmosfera fiabesca che avvolge queste lande: i laghi che spuntano come crateri in quell’universo dalle mille tonalità di verde, le montagne irregolari, i castelli minacciosi e misteriosi lo scroscio dei torrenti che si mischia al sibilo del vento e al suono delle cornamuse che qualcuno ha sempre voglia di portarsi alla bocca sarebbero molto meno scenografici senza quel cielo cupo.

Un po’ per caso, un po’ per desiderio

L’itinerario migliore è quello casuale, con fermate da stabilirsi sull’onda dell’emozione. Il Loch ness si può anche tralasciare, perché non è il più bello e perché il vecchio Nessie non si farà vedere: anche nelle recenti immagini di Google Earth, a quanto pare, i movimenti del presunto plesiosauro si sono rivelati essere nient’altro che la scia di una barca. La leggenda, non c’è che dire, è stata per 1.500 anni una pubblicità gratuita delle Highlands nel mondo (fu un monaco a rivelarla nel VI secolo), ma ora che il mondo è globalizzato si può anche andare oltre. Per esempio, sulle isole, con un traghetto o con un aeroplanino a 8 posti che alzerà l’asticella del vostro senso del brivido. Indipendentemente dal mezzo scelto, la colonna sonora del viaggio dovrà essere quella che lo scozzese Mark Knopfler dei Dire Straits scrisse per lo scozzesissimo film Local Hero: una volta rientrati a casa, a riascoltarle, quelle sonorità fatte di flauti e fisarmoniche saranno il corrispettivo delle conchiglie che rimandano il rumore del mare, e con esso le sue mille suggestioni. A passare un paio di giorni a Islay o a Skye s’impara a guardare quel tripudio di colori, fatti di sfumature verdi-azzurre, che conduce piano piano lo sguardo dentro se stessi, come succedeva prima del wi-fi disponibile in quasi ogni angolo del pianeta. Qui, con la copertura telefonica che va a sprazzi, si finisce ad osservare la terra costantemente umida condivisa da animali e esseri umani, sorseggiando del whiskey distillato a pochi chilometri di distanza. E a chiedersi come sarebbe vivere così. L’origine di quella domanda, una volta tornati a casa, si attribuisce ai fumi dell’alcol, scuotendo la testa. Per poi tornare ad abbassarla sul proprio telefono.