Giro d’Italia

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Attraverso un gustoso libretto del Cinquecento si viaggia nell’Italia della cultura e della cucina, vitale molto prima che nascesse uno stato con questo nome.
di Massimo Montanari

Nel 1548 un erudito milanese di nome Ortensio Lando pubblica un curioso libretto intitolato Commentario delle più notabili e mostruose cose d’Italia. Mostruose nel senso latino di mirabili. È una specie di guida turistica, che Lando sostiene di aver tradotto dalla lingua aramaica e attribuisce a un improbabile visitatore orientale che racconta le bellezze del nostro paese. L’itinerario è scandito da imperdibili soste gastronomiche e par quasi di consultare una Michelin d’altri tempi: imperdibili i maccheroni di Sicilia grondanti burro e formaggio e gli straordinari pesci di Taranto (fortunato chi ci arriverà in quaresima, quando il pesce è d’obbligo); a Napoli si troverà un pane eccezionale e un’incredibile varietà di dolci. Ogni sorta di salumi, formaggi, vini accompagnerà l’esplorazione del paese, risalendolo da Sud a Nord: dalle squisitezze emiliane ai vini veneti e friulani, dai pesci dei laghi lombardi alle torte salate di Genova è un susseguirsi di ghiottonerie utili per un’approfondita conoscenza del paese, dei suoi costumi, della sua cultura.

Il viaggio è virtuale, puramente letterario. Ma la lettura di Lando ci fa capire che il turismo gastronomico, invenzione della modernità, non è senza illustri precedenti storici. Quanto al titolo dell’opera, una domanda s’impone. Di quale Italia sta parlando Ortensio Lando? Nel 1548 l’Italia non esiste; la penisola è suddivisa in innumerevoli Stati, dunque questa Italia non è una realtà politica. Forse è una semplice “espressione geografica”, come sarebbe piaciuto a Metternich? Anche, ma non solo. L’Italia evocata da Ortensio Lando è l’Italia della cultura. L’Italia dell’arte, della letteratura, della musica, che non conosce confini. Michelangelo è forse un artista locale fiorentino? Lo era stato Giotto? E Dante, Ariosto, Monteverdi? Questi artisti lavoravano in un ambito culturale italiano – loro stessi lo percepivano come tale – e se ne infischiavano dei confini.

Oggi a Roma, domani a Milano, dopodomani a Venezia, e poi a Napoli, a Bologna, sempre in carrozza. Fu questa circolazione di uomini, di idee, di pratiche, di gusti a giustificare il nome Italia, ben prima che uno Stato con quel nome nascesse, e addirittura fosse pensabile. Lo stesso avvenne in ambito gastronomico: cuochi circolavano da una corte all’altra, ricette di ogni provenienza si inseguivano nei ricettari, prodotti a denominazione di origine locale muovendosi sui mercati diventavano “italiani” (e solo uscendo dal loro territorio giustificavano la denominazione d’origine). Fu in questo modo che si costruì, nei secoli, il patrimonio collettivo del Belpaese. In tutti i campi della cultura, cucina compresa.