Pasti veloci e un po’ distratti, altri preparati e curati nei minimi dettagli. In solitaria o conviviali. Sapori antichi e conosciuti o nuovi e tutti da sperimentare. Accade spesso che quello che mangiamo e soprattutto come (e, a volte, anche con chi) lo mangiamo non si limiti a ciò che mettiamo nel piatto, ma sia intimamente collegato con gli aspetti psicologici ed emotivi più profondi del nostro essere. «Il rapporto tra psicologia e alimentazione è motivo di grande curiosità per un numero sempre crescente di persone – afferma Cristina Rubano, psicoterapeuta specialista in psicologia della salute e curatrice del blog Cibo per la mente sul sito dell’Ordine degli psicologi del Lazio (http://www.ordinepsicologilazio.it/blog/cibo-per-la-mente/) –. Più che una relazione diretta tra le preferenze alimentari e alcune specifiche caratteristiche psicologiche – sottolinea l’esperta – ciò che può far riflettere è la modalità con la quale si mangia e il conseguente uso emozionato che si fa del cibo».
Fame di emozioni
Si può mangiare per piacere, per dovere, per assecondare un’ossessione, per placare l’ansia o tenere a bada un malessere. Un impiego che può essere blando, occasionale, legato a specifici momenti della vita o diventare compulsivo, incontrollabile, sintomo inconsapevole di quella che gli esperti definiscono fame emotiva. «Il cibo – precisa Rubano – non è mai neutro: assume per ognuno significati simbolici e affettivi importantissimi. Pensiamo ai famosi comfort food, i cibi che coccolano, che non a caso sono spesso quelli risalenti all’infanzia». Lungi dunque dall’essere soltanto un mezzo di sostentamento fisico, l’alimentazione può essere considerata un’insieme di esperienze di vita che bisognerebbe imparare ad elaborare per potersi cibare in maniera più consapevole riconoscendo i segnali di fame e sazietà e sapere cosa, quanto e quando mangiare. Un’attitudine che oggi è complicata da una quantità e varietà di cibi a basso costo senza precedenti. «Questa infinità di alimenti implica l’aumento anche dei significati che possiamo dare loro. Il fatto poi che oggi molti piatti siano già pronti o quasi dà loro una valenza più sfumata».
Piatto caldo
In passato, infatti, cucinare richiedeva una scelta accurata degli ingredienti, un tempo più lungo, un insieme di riti che si sono un po’ persi e dimenticati. La Mcdonaldizzazione delle abitudini alimentari ha portato anche nel Belpaese ad una confusione tra i modi di cucinare e ciò che si preferisce nel piatto. «Il contesto alimentare nel quale ci muoviamo – rileva Rubano – incide sempre più spesso sulle nostre identità personali». Difensori del cibo genuino preferibilmente a km 0, amanti del biologico, appassionati di cucine etniche, fruitori per comodità o pigrizia del fast food: la relazione ludica del “dimmi cosa mangi e ti dirò chi sei” non appare così infondata. Ecco allora che, riflettendo con attenzione sul cibo che si mette quotidianamente nel piatto, è possibile imparare qualcosa di più su sé stessi, sul modo di stare in relazione con gli altri, su come esprimere e gestire le emozioni. Magari imparando ad assaporare così il vero gusto della vita.
Angolo cucina
La scoperta di sé che passa dal cibo.
Quali sono i piatti che ci emozionano di più? A che tipo di sapori associamo le nostre emozioni più profonde?
Qual è il piatto che rappresenta l’amicizia, l’amore, la famiglia?
Domande giocose, ma non troppo, a cui ha cercato di rispondere Elisabetta Boninsegna, giornalista e autrice di Come ti cucino un’emozione.
Un piatto per ogni sentimento (Historica edizioni, pp. 174, 13 euro).
«Ogni cibo ha una sua struttura che ci condiziona: cucinandolo lo trasformiamo ma anche lui trasforma noi – dice Boninsegna che cura il blog Anima e pasta (www.animaepasta.it) di cibo, emozioni, turismo ed eventi –. Prendendo spunto dalla concretezza della patata e dalla liquidità della cipolla, ho immaginato di avviare un dialogo con gli alimenti che possono dirci molto di ciò che stiamo provando in un determinato momento». Una sorta di esplorazione verso i nostri mondi interiori in cui a fare da guida è proprio il cibo. Cucinare un’emozione, infatti, significa pensarla, guardarla in faccia, trovare il tempo di farci pace. Per sedersi poi a tavola più leggeri.