Un matrimonio che non funziona, un figlio difficile, le liti in famiglia, un tradimento, un abbandono, un lavoro frustrante. Situazioni che fanno male, ma che si possono superare. Come scrive nel suo ultimo libro La gioia di vivere (Rizzoli), Vittorino Andreoli, uno fra i più famosi psichiatri italiani, che attraverso la riflessione sui classici, la filosofia, la religione, l’osservazione delle storture della società, mostra come sia possibile raggiungere, nonostante il periodo non proprio facile che stiamo vivendo, una condizione di gioia.
«Condizione che non può essere raggiunta da soli, perché l’uomo non è mai solo, ma includendo nella nostra visione del mondo anche la dimensione dell’altro. Stiamo vivendo una preoccupante degenerazione sociale, sono saltati tutti i principi e tutte le regole – afferma Andreoli, che come suggerisce il titolo del suo libro, affronta un tema che riguarda tutti noi da vicino – e non essendo più capaci di essere felici usiamo tutte le nostre migliori energie per coltivare le paure».
Con i suoi consigli ci accompagna, pagina dopo pagina, alla ricerca del segreto della gioia.
«Nel mio lavoro mi occupo principalmente di matti, ma nel corso degli anni è aumentato in me il fascino per il comportamento e le relazioni che i cosiddetti normali hanno nella società... Di fronte allo scorrere del tempo molte persone reagiscono, anche nelle difficoltà, traendone sensazioni positive, individuandone gli aspetti vantaggiosi ed esprimendo la gioia di vivere, con un modo di vedere l’esistenza che si inserisce nel flusso della natura, accettando ciò che la vita ci dona. Ma la maggior parte di noi è sopraffatta dalla fatica di vivere, sempre in azione e mai soddisfatta, spinta dalle ambizioni, dalla paura dell’insuccesso o della morte».
In sostanza nel suo libro delinea un percorso per recuperare la vera essenza del nostro essere umani.
«Il “magico potere” di un sentimento che ci fa stare bene non è altro che la capacità, che tutti abbiamo dentro, di passare dalla dimensione dell’“Io” a quella del “Noi”, vivendo in relazione con gli altri, contando sui legami affettivi e guardando in faccia il presente, senza le costruzioni di desideri difficili o impossibili, che spostano sempre la gioia al futuro e senza i rimpianti che respingono nel passato. E soprattutto prendiamo atto che questo potere può essere appreso, per migliorare finalmente la nostra vita».
Nella società attuale però sembriamo tutti affetti da una sorta di male di vivere, che ci rende infelici e mai soddisfatti.
«Oggi purtroppo è sempre più diffusa una sensazione di malessere generale di chi teme di non farcela. Questa modalità di percepire il mondo come una fatica di vivere è una delle visioni possibili, ma non è l’unica. E per non lasciarci sopraffare dall’angoscia dobbiamo cominciare ad avere un’altra visione, che è appunto quella della gioia di vivere».
Professore, che differenza c’è tra felicità e gioia?
«La parola felicità oggi è molto usata, al contrario della gioia che si nomina poco. La prima riguarda il singolo e quella sensazione di benessere che si prova di fronte a uno stimolo positivo. Ma quando finisce lo stimolo finisce anche la felicità, una specie di piacere che poi si spegne. Per essere gioiosi, invece, si tiene conto degli altri, della comunità, perché la gioia dipende anche dall’altro, si riflette nell’altro e dà quindi una visione diversa. È una condizione continua, come la saggezza che non rappresenta il successo o il bisogno di apparire, ma un modo di dare significato anche alle piccole cose».
A proposito di comunità. La famiglia negli ultimi tempi ha subito molti cambiamenti e spesso è accusata di non essere più il porto sicuro. Lei che cosa ne pensa?
«Come ho scritto nel libro Lettera alla tua famiglia, stiamo parlando di un gruppo di persone che abitano nello stesso luogo. E far funzionare un gruppo è un po’ come dirigere un’orchestra, piccola o grande che sia. Si deve guardare non al risultato del singolo, ma dell’insieme che deve essere in sintonia. Però, proprio come un’orchestra, potrebbe non funzionare affatto: se, per esempio, si perde la visione d’insieme, con un padre che afferma la propria supremazia, una madre autorevole e un figlio contro entrambi, allora la famiglia diventa un gruppo stonato. Può accadere che, se presi singolarmente, i vari membri suonino bene, ma che la loro musica d’insieme sia terribile. Ci sono insomma delle situazioni in cui la famiglia dà sicurezza e serenità, soprattutto in una società che è complicata e crea molti problemi. Ma altre in cui il nucleo familiare si trasforma in un ring dove ci si può far davvero molto male»