La ricetta della salute

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Per il benessere e per prevenire le malattie. Ecco come e perché cambiano le scelte alimentari degli italiani sempre più inclini a considerare il cibo un mezzo per mantenersi in salute. L’importante è che ciò che mettiamo nel piatto non diventi un farmaco, altrimenti che piacere è?
di Silvia Fabbri

Noi italiani abbiamo sempre tenuto al cibo, più di tutti gli altri popoli. Le nostre vite e i nostri riti sono scanditi da feste che finiscono sempre in grandi mangiate collettive; e quasi sempre nelle nostre famiglie l’amore è stato trasmesso anche attraverso piatti tramandati di generazione in generazione… Insomma, “mangia che ti fa bene” è stata l’esortazione che abbiamo sentito fin da piccoli. Sarà per questo che continuiamo a cercare ciò che ci fa bene nel cibo?

Giro di tavola
Chissà. Una cosa è certa: l’attenzione per il cibo è diventata spasmodica, quasi ossessiva. Il 58% degli italiani è convinto che gran parte delle malattie siano dovute a un’alimentazione sbagliata – e in parte è così –; e dunque sempre più persone impostano le loro scelte alimentari partendo dall’attenzione alla salute. Cambiano così le scelte di consumo, si cercano nuovi prodotti e, nonostante la crisi economica, si aggiornano stili di vita e muta il rapporto col cibo. Ai tanti elementi positivi che stanno dentro questa tendenza si mescolano però approcci un po’ più sbrigativi – come la ricerca di scorciatoie miracolose quasi che il solo consumare un determinato prodotto potesse risolvere ogni problema – e non sempre fondati su un’adeguata informazione. «C’è uno stile alimentare che può prevenire le malattie croniche come il diabete, le malattie cardiovascolari, le malattie neurovegetative. Tutte le malattie che sono dette dell’invecchiamento, ma che in realtà possono colpire a tutte le età, sono molto sensibili all’alimentazione. Ad esempio, molti studi confermano che con un’adeguata alimentazione si potrebbero prevenire il 30% dei tumori», dichiara Lucilla Titta, nutrizionista e cooordinatrice del progetto Smartfood dello Ieo (Istituto europeo di oncologia) di Milano.

 

È nata così la Dieta Smartfood – che è anche il titolo di un libro di cui la dottoressa Titta è coautrice –, ovvero una sorta di bussola in grado di guidarci nel mare magnum dell’alimentazione, individuando cibi che non devono mai mancare dalla nostra tavola, che sono poi quelli che contengono alcune molecole particolarmente benefiche, in grado di risvegliare i geni della longevità. 

Vivi e vegetali
Ma quali sono questi cibi? «Diciamo che a mangiare prevalentemente verdura e frutta non si sbaglia, perché queste molecole – spiega la nutrizionista – sono composti molto piccoli e ubiquitari. Insomma, giocoforza, li incontriamo spesso mangiando prevalentemente vegetali. Ma per orientarci teniamo presente che il più delle volte questi micronutrienti sono pigmenti, come le antocianine che si trovano nel cavolo rosso, nelle fragole, nei mirtilli, ad esempio; o i flavonoidi come la quercetina, nell’uva rossa, nei mirtilli ma anche nei capperi; la curcumina gialla, caratteristica della curcuma, o la capsaicina presente nei peperoni e nel peperoncino. Poi c’è l’epigallocatechingallato – continua Titta – che è in tutti i tè, ma in particolare nel tè verde e nel tè nero, e anche la fisetina che si trova nelle fragole e nei cachi. Infine il resveratrolo nell’uva rossa».
Tuttavia, sottoposto com’è a un bombardamento costante, il consumatore italiano ha decretato a torto o a ragione (spesso a torto) il calo, in alcuni casi anche il crollo, delle vendite di latte, carne, grano duro, premiando, ad esempio, la pasta senza glutine, mangiata anche da persone che non sono affette da alcuna intolleranza alimentare (tant’è che le vendite dei prodotti glutenfree sono aumentate fino al 30% negli ultimi anni). Anche i cosiddetti latti vegetali hanno fatto registrare consistenti balzi in avanti nelle vendite.

Ben servito
E ancora: avocado, zenzero, curcuma, ma anche goji, quinoa. Cibi nuovi, spesso esotici o etnici, certamente non sempre a chilometro zero, vengono premiati dal consumatore che li usa, sia perché sono buoni, certo, ma anche perché vengono vissuti quasi alla stregua di integratori, o comunque come cibi che fanno bene: antiossidanti, naturali, salutistici.
«Credo che questo accada – spiega ancora Titta – perché oggi si ha una enorme scelta di cibo, come mai si è verificata nella storia dell’uomo, per cui nasce la voglia di selezionare, di informarsi di più, anche perché si è un po’ disorientati. Quindi le persone cercano di capire, poi di scegliere i cibi buoni e magari di evitarne altri. Un atteggiamento forse non scientifico – precisa Titta –, perché, ad esempio, l’avocado è un ottimo alimento, ma non è un cibo salvavita. Tuttavia, da questa tendenza generale nasce in fondo qualcosa di positivo, perché si arriva a prediligere alimenti del mondo vegetale, il che è un bene. È vero che si esagera sulle qualità di certi alimenti che sarebbero antiossidanti, antinfiammatori ecc., ma essi hanno comunque un effetto benefico sulla salute».

Piatto forte

  
Allora che cosa bisognerebbe mangiare? Perché il rischio di trascurare alimenti che abbiamo a portata di mano, e che certo sono altrettanto salutari di altri più rari e costosi, ma più di moda, c’è eccome. «Allo Ieo prendiamo come punto di riferimento il modello del piatto sano secondo l’Harvard Medical School di Boston – risponde Titta –. Si tratta di un piatto da riempire per metà con frutta e verdura, anzi meglio più verdura che frutta. Poi un quarto di carboidrati complessi, cioè cereali, meglio se integrali, fondamentali per il raggiungimento del fabbisogno giornaliero di fibra che deve essere di 25-30 grammi. Infine, l’ultimo quarto del piatto sano deve contenere fonti di proteine salutari, cioè legumi – che andrebbero consumati più spesso di quanto non si faccia abitualmente, anche tutti i giorni – latticini magri, uova, pesce, carne bianca ». E la carne rossa? Secondo l’esperta, non più di 500 grammi a settimana. Mentre vanno inclusi nel menu quotidiano anche frutta secca e semi oleosi, concentrati di micronutrienti e grassi, buoni per il cuore, la circolazione, ma anche per il cervello. Per ridurre sale e condimenti vari, è buona norma usare molte spezie, come curcuma e peperoncino.

Piano cottura
Un altro aspetto molto importante per una dieta salutare è la cottura degli alimenti, perché non tutte le molecole resistono alle alte temperature (come spiega il libro Le Ricette Smartfood di Eliana Liotta e Lucilla Titta, edito da Rizzoli, praticamente l’applicazione dei principi de La Dieta Smartfood). «Ma non è detto che tutte le verdure siano migliori sempre e comunque crude. I carotenoidi del pomodoro e della carota, ad esempio, tengono molto bene la cottura, anzi possono diventare più biodisponibili dopo la cottura prolungata, e spesso in associazione ai grassi perché sono liposolubili. Ma se devo consigliare una cottura – afferma Titta – meglio senza dubbio quella a vapore e di breve durata. Quanto ai fritti meglio concederseli solo in occasioni speciali, 2 o 3 volte l’anno». Un nuovo modo di mangiare gustoso e salutare insieme. Infatti, tra le malattie croniche che uno stile alimentare sano può prevenire, ci sono senza dubbio l’obesità e il sovrappeso. Anche se continuare a parlare di calorie ormai è riduttivo: oggi è più importante capire che cosa c’è dentro un alimento e qual è il suo ruolo funzionale.

 

Numeri alla mano 
Dallo zenzero alla curcuma: le vendite fanno boom anche nella Grande Distribuzione. Zenzero, bacche di goji, curcuma, grano saraceno, avocado. Questi prodotti piacciono sempre di più agli abitanti del Belpaese e in buona parte si tratta di un consumo alimentato dalla ricerca di cibo che abbia virtù benefiche per la nostra salute, che ci possano in qualche misura aiutare a combattere e prevenire acciacchi e malattie. Così per placare la nostra passione smuoviamo navi e aerei che arrivano dall’altra parte degli oceani o anche solo del Mediterraneo, in attesa che qui da noi qualche bravo agricoltore non fiuti l’affare e coltivi piantagioni di bacche di goji, come è già successo in passato per i kiwi e come sta succedendo ora in Sicilia per gli avocado. Lo zenzero, poi, cresce con un clima tra i 19 e i 28 gradi, e in tempi di riscaldamento globale mezza Italia registra queste temperature tropicali... Perciò, chissà, magari pure lo zenzero made in Italy è dietro l’angolo.

Ma guardiamo un po’ di cifre (Rapporto Coop 2016)... da capogiro: tra il 2015 e il 2016 le vendite di zenzero sono aumentate del 140,9%, quelle di quinoa del 91,9%, quelle della curcuma del 93,5%, dell’uva nera dell’88,7%, dei semi in generale del 34,5%. Attualmente il giro d’affari dello zenzero si aggira intorno agli 8 milioni di euro (e solo nella Grande Distribuzione organizzata). Della radice di zenzero, detta anche ginger, interessano le sue proprietà salutistiche, vere o presunte: tant’è che ai picchi nelle vendite coincidono anche i picchi di frequentazione dei motori di ricerca su internet. Lo zenzero viene dai paesi tropicali, non lo conosciamo, non è un cibo della nostra tradizione e allora interroghiamo il dottor Google che pazientemente mette in fila proprietà (migliora i processi digestivi, combatte la nausea, ha effetti antiossidanti e antinfiammatori, cura la gola, il raffreddore e l’influenza) e ricette: gli infusi sono una mano santa d’inverno in caso d’influenza e rinfrescanti d’estate; un pezzettino nelle zuppe vi farà sentire grandi chef; ma è anche fantastico sul pesce, per non dire dei dolci al cioccolato... Per questo Coop ha assecondato la passione degli italiani per lo zenzero, investendo sul prodotto biologico: «Abbiamo individuato in Perù – spiega Claudio Mazzini, direttore del settore ortofrutta di Coop Italia – una piccola cooperativa di produttori che lavora in maniera artigianale e che, grazie a questo progetto, può ingrandirsi e prosperare. E oggi in Coop lo zenzero ViviVerde si attesta stabilmente tra le prime 15 referenze. Nei primi 8 mesi del 2016 abbiamo venduto oltre 100mila chili di zenzero biologico contro gli appena 10mila del corrispondente periodo 2015». Ma questa tendenza riguarda anche tante altre referenze sino a pochi mesi fa quasi sconosciute: la curcuma (una spezia), il kumquat (un piccolo mandarino), il daikon (un ravanello) e la lista potrebbe continuare. 

 

L'intervista

Con piacere
Come nell’alimentazione piacere e salute si rafforzano a vicenda. Ne parliamo con Massimo Montanari, docente dell’Università di Bologna e storico dell’alimentazione.

Gli italiani sono sempre stati grandissimi amanti della tavola e del cibo. Ma oggi sembra aumentare l’attenzione alla salute e al cibo che cura o che non fa invecchiare. Che cosa pensa di questo fenomeno e come si difende il cibo come piacere?
«Il legame fra cibo e salute è antichissimo. In tutte le culture gli uomini hanno sempre pensato che il primo modo per proteggere o recuperare la salute passi attraverso ciò che mangiamo. In passato questo era forse un pensiero elitario: i trattati di dietetica (che insegnavano anche cosa mangiare e come prepararlo) si rivolgevano a un pubblico scelto. Però anche a livello popolare, contadino, l’idea che la salute è anzitutto nel cibo, e che ci si cura col cibo, apparteneva alla cultura comune. Quindi non mi pare che siamo di fronte a una grande novità, se non nell’enfasi che ne danno i media e nelle paure (inedite) dei consumatori».

Paura di che cosa?
«La paura è legata al fatto che nella società del cibo industriale non esiste più un vero controllo della filiera alimentare: non sappiamo chi produce, chi modifica, chi prepara ecc. Allora cerchiamo ossessivamente di recuperare questa conoscenza che un tempo era di tutti, signori e contadini. Ma il tema della salute è antico. Nuova è la paura di perdere il controllo del cibo. E da questo punto di vista il fenomeno è senz’altro positivo».

Come difendere le ragioni del piacere?
«Recuperando antiche certezze, tipiche di tutta la tradizione gastronomica e dietetica, secondo cui il piacere e la salute non solo non si oppongono ma, al contrario, si rafforzano a vicenda. Ciò che è buono fa bene, ciò che fa bene è buono. A patto di sapere che cosa stiamo mangiando». intervista

Aumentano le tribù dei “senza” (senza glutine, grassi, zuccheri ecc.). Può essere una reazione anche all’abbondanza dei cibi che abbiamo a disposizione?
«Non credo che sia una reazione all’abbondanza. Penso piuttosto che sia una reazione a quello che ho detto un attimo fa: la paura giustificata di perdere il controllo di ciò che stiamo mangiando. Se l’industria mette troppe cose nel cibo, eliminarle ci sembra (anche in modo emotivamente incontrollato) un modo per salvarci. Togli, togli, togli. E “senza”, che in tutta la nostra storia significava penuria, mancanza, e spaventava, magicamente diventa un concetto positivo».

Oggi si assiste a un boom del consumo di tanti prodotti, dalla curcuma allo zenzero, particolari e spesso provenienti da tradizioni lontane. Solo una moda o contaminazioni di un mondo globalizzato? 
«Le contaminazioni ovviamente esistono e ci consentono di sperimentare cose lontane. Ma è l’idea stessa del “lontano” che è suggestiva: anche nel Medioevo le spezie che venivano dall’India parevano buone e salutari proprio perché provenienti da luoghi esotici, addirittura (pensava qualcuno) dal Paradiso terrestre, che la geografia immaginaria del tempo collocava laggiù in Oriente, ai confini del mondo. I tempi sono cambiati ma l’immaginario è sempre quello. Lontano ci sono luoghi straordinari, cibi che fanno bene più dei nostri. Questo meccanismo è molto curioso perché è il contrario del primo (quello che ci fa, oggi, diffidenti dei cibi che non conosciamo più). Ma che cosa veramente sappiamo dei cibi che nascono lontano? L’immaginario è sempre protagonista nelle scelte alimentari. C’è sempre qualcuno, o qualcosa, altrove, che ci salva».

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