Nessuno mi può giudicare

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9 Giugno 2017
Che cosa pensano di me? Che cosa diranno? Perché mi guardano così? Quanto conta il giudizio altrui e come liberarsi dal suo peso, agendo secondo coscienza... la propria.
di Barbara Autuori

Uno sguardo difficile da decifrare, una risata sgradita, un aggettivo troppo diretto. E la domanda spesso sorge spontanea: chissà cosa pensano di me, cosa diranno, come mi giudicano. In ufficio, a scuola, in palestra. Per non parlare dei social network dove è sufficiente un semplice emoticon per esprimere un parere su chiunque. Ed ecco che il timore del giudizio altrui si amplifica a dismisura rendendo faticosa ogni attività quotidiana.

Grado di giudizio
Un meccanismo che affonda le radici nella primissima infanzia. «La qualità delle prime relazioni che instauriamo, a partire da quelle con i genitori, determina anche il modo in cui si impara a definirsi – spiega lo psicoterapeuta Andrea Epifani (bolognapsicologo. net) –. Un bambino che struttura il senso di sé su giudizi e comportamenti dei genitori nei suoi confronti baserà la sua autostima su quanto sentirà di aderire a ciò che gli altri si aspettano da lui». Una modalità di identificazione di sé stesso eterocentrata che inizia già in età scolare per poi estendersi anche ad altri contesti. «Un processo assolutamente naturale – osserva l’esperto – che però può trasformarsi in un problema se questa “strategia” diventa troppo rigida». Se l’imprinting naturale a sintonizzarsi su quello che gli altri si aspettano arriva ad estremizzarsi può generare, infatti, il paradosso secondo il quale ci si riconosce esclusivamente attraverso l’altrui giudizio. «Ricorrere agli altri come specchio attraverso il quale identificarsi – prosegue Epifani – comporta la perdita delle coordinate per definirsi quando questo riflesso manca». Salvo poi sentirsi soggiogati da quello che gli altri pensano.

Oggetto di valutazione
Dipendere troppo dal giudizio altrui eppure non riuscire a sopportarlo: se l’equilibrio tra la necessità di aderire alle aspettative degli altri e quella di non sentirsi invasi dal loro giudizio è precario, può accadere di soffrire tanto per la mancanza di giudizi positivi quanto per la sensazione di soffocamento. «In entrambi i casi ciò che si perde è il proprio senso di unicità, il sentirsi persone indipendenti », fa notare Epifani. Lo sanno bene gli adolescenti che percepiscono la morsa del giudizio altrui talmente soffocante che, per trovare e affermare la propria individualità rispetto agli adulti, assumono spesso comportamenti ribelli. Un’insubordinazione salvifica che, con altre modalità, può essere tentata anche in età più adulta. «L’esercizio migliore è sforzarsi di prendere come punti di riferimento per il proprio benessere le coordinate interne a sé stessi: i bisogni reali, le emozioni, i desideri tralasciando i segnali che giungono dall’esterno». Così facendo sarà via via più semplice smettere di assecondare la tendenza a partire dagli altri per valutarsi, dando il giusto peso a ciò che pensa e dice la gente di noi.