Nota di colore

  Aggiungi ai preferiti
10 Luglio 2017
Musei originali, giardini storici, fermate metro avveniristiche, graffiti spiazzanti, oltre alla sua bellezza meridionale a colori. Vedi Napoli..
di Alessandra Bartali

I mille colori di Napoli celebrati da uno dei suoi innumerevoli cantori non se li inghiotte nemmeno l’afa estiva, grazie alla costante brezza marina che dà refrigerio alla vista e agli altri sensi. Chi a Napoli non è mai stato, si immagina i soliti (bellissimi) colori del nostro sud, a rispecchiare un’identità e un potere attrattivo altrettanto abitualmente meridionali.

Sotto...sopra
Oltre al rosso della pizza e al marrone dei mandolini, binomio sacro della napoletanità nel mondo, ci saranno il blu del mare e le varie tonalità comprese tra il bianco e il beige di piazza del Plebiscito, tirato a lucido per fare da vetrina, e quello dei decumani della città (le tre strade di epoca greca) ingiallito dai gas di scarico dei motorini. Eh! no: Pino Daniele aveva (naturalmente) ragione. Quei colori sono molti di più, e non tutti te li aspetti. Sorprendono in primis quelli che spuntano sottoterra, nelle stazioni metro di Garibaldi, Toledo e Università, parte di un complesso logisticomonumentale in cui la noia del trasporto urbano è ravvivata da numerose opere d’arte moderna. Dal sottosuolo si sale e si cerca ombra prima nei vicoli del centro, poi nei giardini storici: ci sono i 134 ettari del Parco di Capodimonte o la Villa Comunale di Napoli, con le sue statue neoclassiche e le fontane realizzate perché la nobiltà non si annoiasse a vedere sempre e solo mare. Dopo di che si selezionano i musei: quelli archeologici, artistici, militari o scientifici.

Classico moderno
Oppure la Fondazione Plart che racconta la storia della plastica, dalla sua invenzione a un futuro sostenibile, attraverso una collezione di oggetti quotidiani, video e giochi interattivi. Il tutto allestito in uno stupendo stabile ottocentesco: ecco a voi il mix tipicamente napoletano tra classicità, contemporaneità e vita vissuta. Quello tra sacro e profano, invece, è sotto gli occhi di tutti: nelle chiese dove al posto del culto i preti fanno teatro con i ragazzini di strada, nelle croci in oro infilate nei petti villosi di giovani che pomiciano sui sagrati e nei graffiti come quelli di Banksy (che a piazza dei Girolamini ha dipinto una Madonna sì, ma con pistola) o dell’autoctono Jorit, il cui San Gennaro somiglia, per sua stessa ammissione, a un suo amico carrozziere. A Napoli la cosa non ha fatto storcere il naso a nessuno, tanto che a Jorit è stata commissionata, nel quartiere popolare di San Giovanni a Teduccio, una gigantografia dell’altro “santo” più famoso di Napoli: Diego Armando Maradona. E figuriamoci se è il primo murale a lui dedicato

 

 

Tradizione partenopea
Pizza, pasta e babà a regola d’arte.
La tradizione gastronomica napoletana si basa su due piatti con cui sono cresciuti tutti gli italiani: la pizza e la pasta pomodoro e basilico. Ma a Napoli vengono fatti a regola d’arte. La prima c’è chi la preferisce solo margherita (magari con origano o mozzarella di bufala) e chi la gusta anche fritta, variante che come spesso succede da queste parti ha radici popolari: la frittura e gli ingredienti costavano meno di forno a legna e fiordilatte. La pasta si fa coi pomodori tipici del Vesuvio, che a volte si spaccia per una salsa alle vongole fujute, dove i frutti di mare sono per l’appunto fuggiti. Ma tra i fornelli partenopei c’è anche tanta creatività: risale a prima dell’attuale era gastromaniaca il babà Vesuvio, il tipico dolce locale fatto a forma di vulcano, realizzato e brevettato da una storica pasticceria per il G7 di Napoli nel 1994.
www.infoturismonapoli.it; inaples.it; napolike.it