Orizzonte di senso

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Colori, sapori e valori nutrizionali: i dietologi contemporanei riscoprono l’importanza sei sensi e dell’esperienza diretta.
di Massimo Montanari

Scegliere frutti e altre piante a seconda del colore (blu, rosso, arancio, giallo, verde) sta diventando parte del nostro comportamento alimentare. La novità di questo discorso sul cibo sta nel fatto di appellarsi alla percezione fisica, cioè all’esperienza: chiunque può facilmente seguire queste indicazioni. Sul piano culturale è una vera e propria svolta rispetto a quando – non tanti decenni fa – le parole d’ordine erano proteine e carboidrati, lipidi e vitamine, soggetti misteriosi che nessuno ha mai incontrato, a parte gli studiosi impegnati nei laboratori d’analisi. Il linguaggio della chimica, affermatosi da due secoli nella ricerca alimentare, si era progressivamente allontanato dall’esperienza sensoriale, creando una distanza fra cucina e dietetica, fisica e chimica, percezione e conoscenza. Che le vitamine esistano nessuno lo mette in dubbio, ma nessuno ne ha mai sentito il sapore. La scienza dietetica è diventata specialistica e sacerdotale, esclusivo appannaggio degli studiosi.

E studiosi e sacerdoti esistono ancora, per fortuna: sono quelli che ci spiegano cosa fa bene e cosa male, quando, a chi, in quali circostanze. Però è confortante che si stia facendo strada un nuovo linguaggio che coinvolga maggiormente il consumatore nel processo di conoscenza. Il colore fa parte dell’esperienza sensoriale, è uno strumento alla portata di tutti. Allo storico questo richiamo ai sensi fa venire in mente che in altre epoche proprio i sensi erano al centro della cultura dietetica e gastronomica; e che ciò valeva anzitutto – trattandosi di cibo – per il senso del gusto. La dietetica antica e medievale, sulla scia di Ippocrate e Galeno, non aveva dubbi nell’individuare il gusto come primo strumento di conoscenza, che ci orienta verso i sapori buoni e in quanto tali salutari. Assaggiare qualcosa e trovarlo piacevole era, secondo quegli scienziati, la prova che il cibo era giusto rispetto alle esigenze nutrizionali dell’individuo. La conoscenza insomma affidata ai sensi. Sensi che si richiamano l’un l’altro.

In particolare, il pensiero antico postulava rapporti fra sapori e colori. 7 erano, secondo Aristotele, i sapori principali; 7 i colori, e a ciascun colore corrispondeva un sapore. Per esempio, il bianco corrispondeva al dolce, il giallo al grasso. Mi piace pensare che l’insistenza dei dietologi contemporanei sul colore del cibo sia la versione evoluta di quest’antica complicità dei sensi e della maggiore fiducia che dovremmo accordare loro. Quanto alla coppia sapori-colori, i Greci non avevano forse teorizzato che il bello è di necessità buono, e viceversa?