Per parità

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3 Marzo 2021
Dal tasso di occupazione, basso, alle differenze di salario, alte: nelle classifiche mondiali sulla condizione femminile l’Italia arranca e la pandemia non ha certo migliorato le cose, facendo perdere posti di lavoro, reddito e autonomia soprattutto alle donne. Ma le pari opportunità cominciano dalle piccole cose: l’adesione di Coop alla campagna per tagliare l’Iva sugli assorbenti, in occasione dall’8 marzo, per una settimana, riduzione del prezzo di questi prodotti tutt’altro che accessori e al via un’”agenda” per una vera parità. Per dire Close the gap tra donne e uomini.

Articolo pubblicato su NuovoConsumo del mese di marzo 2021

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di Paola Moniliti

Qualche ministra c’è stata, anche se a volte ha preferito farsi chiamare ministro. Invece, nonostante il succedersi di 67 governi in 76 anni – da quando, cioè, le donne hanno il diritto di voto nel nostro paese – una presidente della Repubblica o del Consiglio, in Italia, non si è mai vista. Neppure in un film di fantapolitica, uno spot pubblicitario o una fiction Tv: l’eventualità che a guidare il paese sia una donna non si affaccia neppure nella nostra fantasia. Forse è questo l’esempio che rende lampante la condizione delle donne in Italia, come confermano i numeri in tanti ambiti.

Pari o dispari?
Nel Global gender gap index del World Economic Forum sull’equità tra uomini e donne siamo al 76° posto su 153 paesi censiti e al 17° sui 20 dell’Europa Occidentale (fanno peggio di noi solo Grecia, Malta e Cipro). Le cittadine italiane arrancano dietro a quelle delle nazioni più avanzate, con posizioni in netto peggioramento rispetto al 2006 sulla maggior parte degli indicatori di parità. A trascinare in basso l’Italia in fatto di uguaglianza sono soprattutto il tasso di occupazione femminile, appena il 48,5% delle donne tra i 15 e 64 anni lavora, contro il 67,5% degli uomini, e le alte differenze salariali: si stima che le italiane guadagnino dal 5 al 20% in meno dei colleghi maschi, senza contare che in più si sobbarcano a gran parte del lavoro domestico.
Il mercato del lavoro al femminile sconta una debolezza strutturale che è stata aggravata dalla pandemia. Il 2020, ci dice l’Istat, ha registrato un calo di 444mila occupati in Italia: di questi 3 su 4 sono donne. Senza considerare le libere professioniste e chi lavorava in nero, senza contratti né garanzie. In tante hanno perso l’occupazione e con essa autonomia, reddito, autostima.
A volte perfino la vita, visto che l’indipendenza economica è essenziale anche per sfuggire da abusi e violenze domestiche. Le lavoratrici hanno pagato molto cara la loro presenza nei settori più colpiti dal crollo dell’economia, come i servizi, ma anche la precarietà dei contratti di lavoro e un contesto culturale e sociale che ha imposto ancora una volta alle donne di fare fronte, in gran parte da sole, ai bisogni e alla cura della casa, dei bambini, degli anziani. Anche il cosiddetto “soffitto di cristallo” è ancora lì, trasparente, all’apparenza indistruttibile.

Eppure, è assodato che una maggiore partecipazione dell’altra metà del cielo al mondo del lavoro sarebbe un beneficio per tutti: si stima che se il tasso di occupazione femminile in Italia fosse uguale a quello maschile, il Pil del nostro paese (cioè la ricchezza prodotta) sarebbe di 88 miliardi in più. Con grandi benefici per i bilanci delle famiglie, la competitività delle aziende, lo sviluppo sostenibile e perfino per i tassi di natalità dell’Italia, sempre più bassi. Un reddito in più in casa, infatti, è un’assicurazione contro la povertà e un incentivo che, nel paesi più attenti di noi a rapporti equi tra uomini e donne, consente di dare vita a famiglie più numerose.

Rosa moderno
A fare da apripista, per fortuna, ci sono tante donne coraggiose e determinate, che sono riuscite a lavorare, fare impresa e a entrare nelle “stanze dei bottoni”, e anche aziende che pensano “al femminile”. In Italia Coop è tra i maggiori datori di lavoro alle donne: su 55mila dipendenti delle cooperative aderenti, il 70% è composto da lavoratrici: «Nonostante le storture di sistema e l’assenza di politiche incisive sul fronte della parità – spiega Maura Latini, amministratrice delegata di Coop Italia –, siamo in una posizione avanzata rispetto al contesto esterno. Ora i tempi sono maturi e le Cooperative sono pronte a fare di più, consapevoli che i temi della parità e dell’inclusione non sono un problema delle donne, ma una questione di interesse collettivo. È un tema molto ampio sul quale occorre lavorare con più strategieUna di queste è sensibilizzare l’opinione pubblica e la politica». 

Il 70% dei dipendenti Coop è donna, oltre il 44% dei membri dei Consigli d’Amministrazione e dei Consigli di Sorveglianza è donna, oltre il 32% dei ruoli direttivi è ricoperto da donne e sono più del 50% le socie elette nei vari territori. Ma la strada verso la vera parità è ancora lunga. Coop intende percorrerla, rendicontando i risultati anno dopo anno. [Maura Latini]

Due fonti indipendenti ed autorevoli – l’organizzazione internazionale Oxfam e l’Istituto Tedesco di Qualità – hanno assegnato proprio a Coop riconoscimenti sull’“inclusione” femminile nel lavoro. Ora nasce un’“agenda” di Coop, lanciata per la festa dell’8 marzo, con tanti appuntamenti per sostenere la parità tra donne e uomini dentro e fuori dai negozi, rivolgendosi ai soci e ai consumatori, ma anche a dipendenti, gruppi dirigenti delle Cooperative e fornitori.  Per dire Close the gap.

 

Di prima necessità
Si parte con una compagna, al tempo stesso concreta e simbolica, su un bene di prima necessità per le donne: Coop sostiene, infatti, la raccolta di firme Stop tampon tax, il ciclo non è un lusso!, avviata sulla piattaforma Change.org dalle giovani donne dell’associazione Onde Rosa.
Dunque a marzo, per una settimana, in Coop si riduce il prezzo di tutti gli assorbenti igienici, come se l’Iva fosse al 4% anziché al 22%. Mentre quelli ViviVerde Coop, già con aliquota ridotta, saranno “vestiti” in confezioni che inviteranno a firmare la petizione   «La disuguaglianza inizia dalle piccole differenze – dice Latini – come quella che si riscontra tra la tassazione dei prodotti di igiene e cura: gli assorbenti femminili, bene tutt’altro che di lusso, subiscono un’Iva del 22%, al pari di articoli di abbigliamento, sigarette, vino, che non sono considerati di prima necessità. Quella dell’abbassamento dell’Iva sugli assorbenti non è una questione solo economica, di puro risparmio; la scelta di tassarli come bene di lusso è prima di tutto un messaggio sbagliato – rimarca Latini –, una discriminazione concreta contro la quale vogliamo dare un segnale che richiami l’attenzione».

 

Tassa d’interesse
Una piccola informazione che fa capire bene in che situazione siamo: nella legge di bilancio del 2019 l’aliquota sul tartufo è stata ridotta dal 10% al 5%, mentre il taglio dell’imposta al 5% è stato applicato solo agli assorbenti compostabili e lavabili. Intanto Francia, Regno Unito e Olanda hanno già ridotto l’aliquota, Canada e Irlanda l’hanno abolita e la Scozia, per prima, fornirà gratuitamente gli assorbenti alle sue cittadine. Secondo le stime di Onde Rosa, che ha promosso la raccolta di firme contro la tampon tax, la riduzione della tassa in Italia consentirebbe un risparmio di 23 euro all’anno per ogni donna (che in assorbenti ne spende 126), da moltiplicare per il numero di donne in famiglia: «Di per sé non una cifra enorme – afferma Silvia De Dea, cofondatrice dell’associazione –, anche se per le fasce di popolazione fragili, monoreddito, con più donne in famiglia, è comunque consistente. È un simbolo d’ingiustizia che rende chiaro come la disparità e la discriminazione ci circondano anche nelle cose più quotidiane e banali. L’importante è che tutte le donne abbiano il diritto di scegliere liberamente i prodotti con i quali si sentono più a loro agio – sottolinea De Dea –, senza che nessuno di essi sia considerato un lusso».
E gli effetti della campagna si sono già fatti sentire: alcuni Comuni hanno scelto di abbassare il prezzo degli assorbenti nelle farmacie comunali, come se l’Iva fosse al 4%.

Femminile plurale
Per quanto riguarda l’“agenda” di Coop, saranno coinvolti innanzitutto i fornitori del prodotto a marchio: «Insieme a sicurezza alimentare, sostenibilità ambientale ed eticità del lavoro, monitoriamo i nostri fornitori anche sui temi dell’equità della remunerazione e delle condizioni di lavoro delle donne – dichiara l’amministratrice delegata di Coop Italia –. Le disuguaglianze sono enormi anche nelle filiere agricole dove le donne troppo spesso sono pagate molto meno degli uomini per le stesse mansioni. Per i fornitori dei prodotti a marchio Coop intendiamo assegnare un premio annuale a quelli che promuovono la leadership femminile e che possono fare da apripista e da modello per le loro buone pratiche sulla parità ».
Al proprio interno Coop ha assunto l’impegno di intervenire a tutti i livelli per prestare sempre più attenzione all’uguaglianza tra uomini e donne nei percorsi di carriera, per avere una maggiore presenza di donne nei ruoli più alti ed equità nelle retribuzioni, costruendo giorno dopo giorno una cultura interna incentrata sulla parità, anche con percorsi di formazione mirati. Intanto festeggiamo come si deve l’8 marzo. È già nato il volumetto illustrato Mimosa in fuga. Perché, come recitava il titolo di un altro libro celebre, la parità comincia “dalla parte delle bambine”. Il futuro del lavoro sarà loro: le donne, secondo gli esperti di risorse umane di tutto il mondo, sono le prime portatrici di quelle “abilità morbide” (capacità di lavorare in gruppo e negoziare, partecipazione emotiva, creatività, abilità nella gestione delle aspettative altrui) di cui le aziende hanno sempre più bisogno e che nessuna intelligenza artificiale, in futuro, potrà sostituire.

In primo piano
5 obiettivi al femminile per il Piano di Ripresa italiano, così da spendere al meglio i soldi dell’Unione Europea

Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) dovrà essere predisposto dal nostro paese, entro aprile, per accedere ai circa 209 miliardi di fondi stanziati per l’Italia da Next Generation EU. È un’imperdibile occasione per portare almeno al 60% il tasso di occupazione delle donne (obiettivo che dovevamo raggiungere 11 anni fa, secondo il Patto di Lisbona), attivando così una leva chiave per lo sviluppo economico, produttivo, tecnologico e sociale di tutto il paese. Per la prima volta, la questione femminile non sarà un capitolo a parte. Cosa si può fare concretamente? Un’ampia rete di associazioni femminili ha dato vita al manifesto Donne per la Salvezza - Half of it, chiedendo all’UE il rispetto dell’articolo 23 della Carta europea dei diritti fondamentali che recita “la parità tra uomini e donne deve essere garantita in tutti i settori, compresi l’impiego, il lavoro e la retribuzione”. A dare obiettivi mirati in l’Italia sono state, in un’audizione alla Camera, le economiste e le studiose sociali di Ladynomics, InGenere e ll giusto mezzo.
Ecco, in sintesi, le loro indicazioni al Governo.
1. Servono obiettivi definiti e quantificati, strumenti, modalità e tempi certi di realizzazione del Piano. La “cabina di regia” del PNRR deve avere un pari numero di donne e uomini capaci e competenti. La diversa prospettiva delle donne, educate da secoli alla cura delle persone e capaci di essere leaders diverse nei modi e nei valori, è indispensabile.
2. Nel Piano italiano, a inizio febbraio, comparivano progetti al femminile per 2 delle 5 “missioni” previste: istruzione e ricerca (favorendo, ad esempio, l’accesso delle donne agli studi scientifici, tecnologici e matematici) e inclusione e coesione (come il potenziamento dei servizi per l’infanzia, anziani e disabili). Ma è cruciale che ci siano progetti “rosa” anche sui temi della digitalizzazione del paese e della rivoluzione verde, dove si parte da forti squilibri di genere che possono aggravarsi. La maggior parte delle risorse del Piano è già destinata, infatti, a settori in cui è alta l’occupazione maschile, come ICT (tecnologie dell’informazione e della comunicazione), infrastrutture e trasporti.
3. Per ridurre il divario, si potrebbero usare strumenti come le quote dedicate all’occupazione femminile o mettere indicatori di parità di genere tra i criteri di assegnazione dei bandi per gli appalti. Ma è una strada impervia. Il Covid-19 ha generato prima di tutto una “crisi di cura”, sanitaria e sociale: servono anche più servizi, scuola, welfare e istruzione, generando occupazione in settori dove la presenza femminile supera il 70%, e innalzare la retribuzione dei lavori di cura, ora tra le più basse in Europa.
4. Anche la politica industriale non è neutra e deve essere trasversale. Ad esempio, puntando all’innovazione nelle tecnologie per assistere i nonni, in modo da migliorare i servizi per loro, incentivare settori ad alta tecnologia e portare nelle strutture per anziani, ma anche nelle loro case e nelle famiglie, soluzioni avanzate.
5. Finanziare anche progetti indirizzati espressamente alle donne, come l’imprenditoria femminile, l’accesso al credito, la prevenzione della violenza sulle donne: una piaga ag- gravata dalla pandemia.

Genere umano
Agenda 2030, ovvero le cose da fare per le donne nel mondo.

La “parità di genere” è il 5° dei 17 obiettivi dell’Agenda 2030 dell’Onu per assicurare al pianeta uno sviluppo sostenibile. Per questo occorre:
● porre fine a ogni forma di discriminazione verso le donne, bambine e ragazze in ogni parte del mondo;
● eliminare la violenza contro di loro nella sfera pubblica e privata, incluso il traffico a fini di prostituzione, lo sfruttamento sessuale e di altro tipo;
● cancellare pratiche nocive come il matrimonio delle bambine, forzato e combinato, e le mutilazioni dei genitali femminili;
● riconoscere e valorizzare il lavoro di cura e domestico non retribuito fornendo servizi pubblici, infrastrutture e protezione sociale, e promuovere la responsabilità condivisa in famiglia;
● garantire alle donne la piena partecipazione e pari opportunità di leadership a tutti i livelli nella vita politica, economica e pubblica;
● garantire l’accesso alla salute sessuale e riproduttiva e ai diritti riproduttivi;
● dare alle donne pari diritti d’accesso alle risorse economiche e naturali, come proprietà, servizi finanziari, eredità;
● migliorare l’uso della tecnologia che può aiutare il lavoro delle donne, in particolare quella dell’informazione e della comunicazione;
● adottare politiche concrete e leggi applicabili per la promozione dell’eguaglianza di genere e l’emancipazione delle donne, a tutti i livelli.