Personal computer

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Potranno un giorno i computer dare senso alle cose? Per ora l’unico in grado di passare dall’informazione alla produzione di significati è il cervello umano. Ma scienza e tecnologia fanno passi da gigante.
di Patrice Poinsotte

«La domanda oggi non è più se, ma quanto presto avverrà». Ecco la risposta di Enrico Prati, fisico del Cnr presso il  Dipartimento di fisica del Politecnico di Milano, all’interrogativo se i computer possono essere intelligenti come il cervello umano: «i computer sono stati inventati per imitare il cervello e delegare loro dei compiti. Per ora nessun computer è in grado di svolgere tutte le attività di un cervello umano, ma in un futuro non lontano sarà capace di dare senso alle cose, cioè di produrre significati».

Senso compiuto

Una prerogativa questa che fino ad ora appartiene solo al cervello umano, «l’unico in grado di passare dall’informazione al significato», precisa Giuseppe Vitiello, fisico teorico che lavora anche su modelli matematici del cervello all’Università di Salerno, in occasione dell’ultimo Dice2016 (convegno internazionale di fisica teorica). In sostanza il computer sa solamente ciò che noi gli diciamo, le domande le facciamo noi e, se sono sbagliate, anche le risposte lo saranno. Analizzare dei dati grazie al sistema binario, un insieme di zeri e di uno: ecco tuttalpiù quello che fa un calcolatore convenzionale. E come lo fa? “Ragionando” tramite affermazioni (1) o negazioni (0), quindi senza afferrare l’ambiguità a cui rimandano, ad esempio, un “se” o un “ma”. E senza neanche la capacità di dare senso al numero, che sia un conto bancario o un numero di telefono per lui fa lo stesso. Questo significa che non ha accesso all’informazione che è «l’unione tra il numero e un contesto che fa da etichetta», puntualizza Prati. E la mente si spinge ancora più lontano perché, per ottimizzare lo spazio a disposizione delle nostre cellule grigie, non ricorda informazioni ma significati. Infatti «tutto il corpo è cervello, cioè esso è dappertutto perché abbiamo canali percettivi ovunque – spiega Vitiello –. Si tratta quindi di un sistema aperto che ha scambi continui col mondo esterno ed è questa relazione ininterrotta tra l’io e l’ambiente circostante, produttrice di emozioni, che rende diversi cervello e computer».

Cogliere il significato

Dunque un sistema vivente imprevedibile e complesso con «il privilegio di sbagliare, errare (nel senso di vagabondare e deviare)», capacità questa che per Vitiello «si identifica con il pensare». La macchina, invece, non ha questa dote: basta un minimo errore nella programmazione, come per esempio dimenticare di chiudere delle virgolette, per mandarla letteralmente nel pallone. Comunque sia, la tecnologia attuale è capace di simulare alcuni processi biologici del cervello, caratterizzabili con sufficiente precisione sotto forma di un insieme di tappe, così come avviene per le previsioni del tempo. Ma c’è di più. «Ci sono nuovi processori neuromorfici – aggiunge Prati – che imitano alcune caratteristiche di funzionamento dei neuroni. Questo li rende più adatti a compiti come il riconoscimento d’immagini a discapito, ad esempio, della capacità di svolgere calcoli precisi con i numeri». E il divario tra cervello e computer così si riduce. «Gli algoritmi deep learning – rilancia il fisico del Cnr – sono sulla buona strada perché creano una partizione tra i dati che processano e isolano proprietà o oggetti dal resto. Ora si tratta di aggiungere la contestualizzazione, le etichette (cornice, direbbero i filosofi, ndr) che conferiscono appunto i significati». E che dire delle recenti scoperte del Mit di Boston dove un gruppo di ricercatori è riuscito a creare delle cellule viventi intelligenti capaci di svolgere calcoli complessi, digitali e numerici? La strada verso un computer che pensa forse non sarà lunga. «Se ciò accadrà e si vorrà dare un nome a questo computer, bisognerà chiamarlo Spartaco, perché allora – conclude Vitiello – sarà una “macchina infedele” che saprà andare per la sua strada e l’infedeltà, cioè la capacità di essere libero, è la migliore qualità dell’essere umano».