Polonia d’attrazione

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C’è Varsavia che si sforza di somigliare alle città americane, a metà strada tra storia e sperimentazione, e c’è Cracovia, atmosfera struggente e composta malinconia, in cui il passato comunista è diventato un business. Viaggio in Polonia, alla scoperta del lato esotico dell’Europa.
di Alessandra Bartali

Europea, ma esotica. La Polonia è il paese suddiviso non in regioni ma in voivodati, dove le persone hanno tratti somatici che ci portano lentamente verso l’Asia e parlano una lingua con 35 consonanti. Se vogliamo, però, la Polonia è il punto d’inizio dell’Europa così come la conosciamo oggi: il bombardamento di Varsavia deciso nel 1939 da Hitler dà il via alla seconda guerra mondiale, che sfocia poi nella nascita dei due blocchi europei e dopo qualche decennio nel loro ricongiungimento in un continente di nuovo unito anche se piuttosto zoppicante.

Qualcosa di nuovo, anzi d’antico

Tutto inizia da Varsavia, dunque, anche se quella Varsavia che i piloti della Luftwaffe vedevano mentre lanciavano le bombe non esiste più. Al netto della tragedia (scomparve oltra la metà della popolazione), il tabula rasa operata dai tedeschi fu un’irripetibile opportunità per il regime che si insediò a guerra finita: quel vuoto fu ricostruito in modo certosino nel centro medievale cittadino, sulla base di fotografie e stampe e quadri dell’epoca, ma per il resto diventò territorio di sperimentazione urbanistica e architettonica funzionalista. Un “obbrobrio” secondo la Lonely Planet, che solo da quando la capitale polacca si è data a moderne costruzioni in vetro e acciaio in stile statunitense la ritiene degna di visita. Secondo altri, invece, una vera e propria opera d’arte socialista, nel suo intento di combattere l’esclusione sociale unendo nei quartieri centrali il lavoro, i palazzi residenziali e la politica. Comunque la si veda, c’è della bellezza nel monumentale Palazzo della Cultura e della Scienza, che svetta accanto alla stazione centrale. Certo l’atmosfera cittadina, nel periodo comunista, non doveva essere delle più allegre, se David Bowie, dopo una visita negli anni Settanta, sentì il bisogno di incidere la lugubre Warsawa.

Ricchezza e nobiltà

Anche oggi che Varsavia è diventata una meta turistica, visitatori nei quartieri sovietici se ne vedono pochi. La maggior parte passeggia nell’incantevole Parco reale Lazienki o lungo la Strada reale, l’antica via che conduceva alla residenza di Wilanów, dove viali alberati ed edifici dell’antica nobiltà polacca ricordano che in Polonia c’è stato anche benessere e c’è ancora, a giudicare dai caffè e ristoranti sempre pieni della Nowy S’wiat. Anzi, se i polacchi fossero gradassi come altri loro cugini slavi, ci farebbero notare che il loro paese, senza fare troppo rumore, è diventato la sesta potenza economica europea. Con il risultato che l’offerta museale è attualmente ricchissima (tra i più interessanti il Muzeum Fryderyka Chopina, dedicato al compositore autoctono, e quello sulla Rivolta di Varsavia), così come la sperimentazione musicale (soprattutto classica) e gastronomica: pierogi (ravioli), bigos (stufato di carne) e zuppe di barbabietola sì, ma rivisitati in chiave moderna. Molto moderna: al ristorante del famoso cuoco Wojciech Modest Amaro diventano piatti di cucina molecolare, anzi no, “momenti”, nel senso dell’esperienza gastronomica.

Come dentro un film

Ha meno sete di diventare una città del futuro, Cracovia. Forse perché nel passato nessuno le ha dedicato canzoni che evocano scenari desolanti. La musica che la rappresenta è soprattutto quella di Zbigniew Preisner, che il regista Krzysztof Kies’lowski ha portato alla ribalta internazionale. Le sue incisioni nella chiesa di sale di Wieliczka, 130 metri sotto terra nell’antica miniera di sale, fuori città, sono una vera e propria colonna sonora dell’ex capitale polacca: ne traducono in musica l’atmosfera struggente, la delicatezza sobria, la composta malinconia. Passeggiare per le vie di Stare Miasto, la città vecchia, passata quasi indenne dalla guerra, con la sua enorme piazza del Mercato, tra i palazzi settecenteschi, mentre qualche suonatore di strada riempie l’aria con il suo violino, dà le stesse identiche emozioni dei film di Kies’lowski. O meglio, fa sembrare di essere in un suo film. Certo, anche Cracovia ha il suo lato socialista, ma come dicevamo la poesia si può trovare anche nel quartiere di Nowa Huta, costruito negli anni Cinquanta insieme all’omonima acciaieria che presto diventò la più grande del paese (per essere poi rilevata dal colosso statunitense Arcelor-Mittal: fine della poesia).

Passato prossimo

Certo, gli autoctoni al sogno socialista non ci credono più. Anche se questo non gli impedisce di sfruttarlo commercialmente, ad esempio, con i Comunism Tour, nella cui versione deluxe, per circa 50 euro, sono compresi una visita in un appartamento del Nowa Huta e un giro in città alla guida di una Trabant. Qualsiasi iniziativa che possa anche lontanamente far pensare a risvolti commerciali è invece bandita ad Auschwitz, il campo di concentramento situato fuori Cracovia: successe un putiferio quando, nella torrida estate del 2015, vi furano montate docce refrigeranti per permettere ai turisti di sfuggire alla canicola. L’ingresso al campo è gratuito (si pagano solo le visite guidate), ma l’assonanza con le “docce della morte” non è sembrata di buon gusto. La rivalutazione dell’ex quartiere ebraico cittadino, invece, è un tipico processo urbano contro cui nessuno può scagliarsi. A Podgórze ha contribuito a innescarlo Steven Spielberg, che qui ha girato il suo Schindler’s List, in quella ex azienda di stoviglie che salvò dalla morte tanti ebrei e che adesso è diventata un museo. Un luogo che fa riflettere, ma forse non abbastanza, visto che i polacchi non sembrano molto sensibili all’olocausto contemporaneo: i migranti siriani e africani, quelli a casa loro non li vogliono.