Piombinese, precisamente del golfo di Baratti, classe 1973 – prolifico regista di corti comici pluripremiati in tutto il mondo, nonché padre del Troio, il più longevo personaggio de Il Vernacoliere. Andrea Camerini è passato dal mensile livornese a Striscia, a Grezzo Film, ad Aglien (la parodia che ha fatto incetta di premi al festival di Los Angeles dedicato alle serie sul web); per arrivare al cartone animato Blu, promotore della “rete dei musei e parchi della provincia”, che ha come protagonisti un bambino e il suo cane. E ogni volta è un successo. «Ma la mia prima esperienza nel campo della satira è nata sui banchi di scuola, il mio palco – confessa il vignettista –. Vittime predestinate professori, bidelli e compagni, da tempestare di scherzi, vignette, caricature. Luoghi d’azione le pagine dei diari dei miei amici, su cui realizzai le prime vignette, portandole in seguito a Mario Cardinali, inventore e patron indiscusso de Il Vernacoliere, che mi offrì subito una collaborazione».
Quanto ha influito sulla sua fantasia il fatto di essere toscano?
«La toscanità è essenziale e particolare. Molto diversa dal cinismo comico dei romani, da quello più surreale dei milanesi o dalla sagacia dei napoletani. Noi toscani siamo un po’ più ganzi di quell’altri e il nostro umorismo (specialmente il più prossimo a Livorno, dove ha sede Il Vernacoliere) è quello del personaggio che critica il prossimo senza mai guardare se stesso; e pur di non dargli soddisfazione lo etichetta bacchettandolo su piccoli e insignificanti difetti, ingigantendoli e minimizzando i pregi».
Cosa significa nascere e crescere nel golfo di Baratti?
«Per la fantasia Baratti è stato (ed è) un luogo magico. Non c’era niente (e meno male) così le cose te le immaginavi! Sicché il golfo diventava il covo dei pirati o il posto dove si rifugiavano le mummie misteriose, a seconda dei giochi che ci inventavamo. Poi, una volta cresciuto, quegli scorci meravigliosi li ho trasformati in set di fantascienza (come nella serie web: Aglien) o nei luoghi inquietanti della Transilvania (come per il corto: Dragola). E oggi, quando si sente dire che a Baratti ci sono dei soldati romani che girellano per il golfo o degli scozzesi come in Braveheart, la gente non si stupisce più. Sa che è quel bischero del Camerini che ne sta combinando una delle sue».
Quando e perché sono nate le parodie dei film di cui è autore, regista, produttore, attore?
«Il progetto Grezzo Film (lo chiamo così perché è molto più fico dell’amara verità e cioè: perché conosco un sacco di bischeri coi quali ci siamo divertiti a fare delle bischerate) nasce nel 2000, quando, insieme a Cristiano Militello, si imbastì una versione meno elegante e meno orrorifica (ma sicuramente più divertente) del successo del momento The Blair witch project. L’idea fece scalpore e noi la ripetemmo ambientando tutto nella pineta di Baratti. Da lì sono partiti oltre 50 cortometraggi e 2 serie web arrivate anche su canali seri come Sky e Italia 1. Piacquero molto e alcuni spezzoni sono stati addirittura trasmessi all’interno di Blob, la mia trasmissione preferita».
a quando lei ha iniziato a disegnare vignette è cambiato il modo di ridere degli italiani?
«Sì, ma in peggio. Prima era tutto molto diretto e schietto, mentre oggi c’è una sorta di ipocrisia fastidiosa e pericolosa (in chi si autocensura come autore e in chi la applica quando fa il moralista da due soldi su Facebook). Un’ipocrisia che sembra aver minato inesorabilmente la sana e libera satira di una volta. Per quanto mi riguarda cerco di essere me stesso, infischiandomene di sollecitare una risata accondiscendente e ruffiana».
Com’era da bambino Andrea Camerini? Tranquillo, agitato, chiacchierone, silenzioso?
«Una teppa. Già fissato coi fumetti. Li disegnavo ovunque (anche sui fogli di carta gialla della frittura del ristorante che – mi auguro – poi la mi’ mamma cambiasse al momento di cucinare). Ero anche già immerso nel mondo del teatro: ricordo che mi regalarono un vestito di carnevale dell’uomo ragno (o omo ragnolo come lo chiama la mi’ nonna) e io lo indossai per mesi, anche d’estate, in una sorta di performance perpetua del miglior teatro d’avanguardia».
Sognava a occhi aperti?
«Sempre. E poi trasportavo sulla carta i miei sogni».
Quali erano i suoi beniamini nella satira?
«Sono cresciuto con programmi come A tutto gag, Televacca, gruppi storici come La smorfia e I Giancattivi, ma anche con i film di Franco e Ciccio (che casualmente facevano parodie); il genio di Arbore e la Tv commerciale. Tutte cose innovative per quei tempi».
Oggi chi metterebbe in prima fila fra i nomi “da ridere”?
«Oggi c’è poco e quel poco te lo fanno sudare. Adoro Guzzanti e Balasso, poi qualche altro sprazzo di genialità qua e là... ma non molto. Questo perché nessuno sperimenta più e tutti hanno l’ossessione dei dati d’ascolto