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16 Novembre 2017
Alluvioni alternate a siccità che distruggono i raccolti, temperature in aumento, gelate fuori stagione, desertificazione e perdita della biodiversità, nuovi parassiti delle piante, eventi meteorologici estremi che alterano qualità e quantità delle specie coltivate. Come l’agricoltura, tra le cause del cambiamento climatico, subisce le sue conseguenze, più pesanti col passare e col cambiare del tempo. Ma diversificata ed ecologica potrebbe mitigarne gli effetti, proteggendo il terreno e l’acqua, la salute di chi la pratica e la salubrità di ciò che mettiamo nel piatto

Provate a chiederlo a uno dei quegli anziani signori con il viso solcato dalle rughe, esperto di vita e di vite, se il tempo non è cambiato. Quest’anno ha raccolto l’uva a ferragosto, maglietta a mezze maniche e berretto sulla testa per difendersi da un sole cocente; mentre nei suoi ricordi del sole andava a cercare un timido raggio, ristoro tra i filari quando la vendemmia si faceva in autunno, quando l’autunno c’era. Il clima è cambiato, eccome. Non fatti episodici o contingenti, ma un mutamento profondo legato a doppio filo con un’azione quotidiana che diamo, almeno da questa parte del mondo, per scontata: mangiare.  

La vita agra
«L’agricoltura è una delle cause, ma anche una vittima dei cambiamenti climatici. Se l’aumento medio delle temperature non si manterrà al di sotto dei 1,5°C al 2050, assisteremo al moltiplicarsi di fenomeni estremi come ondate di calore, siccità e desertificazione, variazioni imprevedibili del regime delle piogge, riduzione delle riserve d’acqua in certi luoghi, inondazioni in altri, sviluppo di nuovi parassiti e malattie. Fenomeni questi che andranno a colpire moltissime colture», disegna lo scenario futuro Federica Ferrario, responsabile Campagna agricoltura sostenibile e progetti speciali di Greenpeace Italia. Che tra agricoltura, produzione alimentare e clima ci sia un legame sono i numeri a dirlo come conferma Jacopo Ghione, coordinatore del gruppo sul cambiamento climatico di Slow Food: «1° C d’aumento della temperatura media equivale a uno spostamento delle colture di 150 km più a nord, come latitudine, e 150 m di altitudine e le prime 3 produzioni alimentari, riso, mais e grano, che forninscono il 60% delle calorie consumate a livello globale, sono destinate a calare. Le colture potrebbero dover cambiare le aree di produzione a causa del caldo. Pensiamo un po’ a che cosa significherebbe questo per l’Italia, dove ogni valle, comune, regione ha i suoi prodotti tipici, le sue ricette». Un circolo vizioso che si autoalimenta: il cambiamento di un fattore (la temperatura) porta a uno squilibrio totale degli ecosistemi e dei cicli naturali come li conosciamo, e ci vorranno decenni prima che si ristabilisca un altro equilibrio. Senza andare troppo lontano, già ora si vedono gli effetti: «L’aumento delle temperature e dei fenomeni climatici estremi sta mettendo a dura prova le produzioni, con cali notevoli, costi maggiorati per le irrigazioni di soccorso, problemi fitosanitari in aumento. Scarseggiano le colture per gli allevamenti, aumentano patogeni e parassiti non endogeni, come la vespa asiatica che caccia api e altri insetti impollinatori», tratteggia lo scenario attuale Donato Rotundo, direttore area sviluppo sostenibile ed innovazione di Confagricoltura.

 

Farsi una coltura
Una precisazione è d’obbligo: «I paesi più colpiti sono quelli della fascia tropicale che si basano maggiormente su coltivazioni annuali e che hanno minore accesso a informazioni per arginare i danni e pianificare i tempi per la coltivazione. Mentre nelle zone temperate i primi danni rilevanti si vedranno, secondo i modelli previsionali, dopo il 2030», puntualizza Andrea Cattaneo, economista della Fao (Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura). Comunque sia, gli ultimi dati del Crea – Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria – e di Coldiretti dicono che negli ultimi 10 anni i danni alla produzione agricola nazionale, a strutture e infrastrutture, ammonta a circa 14 miliardi di euro per maltempo, gelate, siccità, incendi, così la vendemmia arriva in anticipo, i raccolti sono in forte calo, prolifera la mosca bianca sugli olivi e precipita la produzione di miele di circa il 70%. E Confagricoltura prevede anche un calo del 50-60% della produzione d’olio. «Questi fenomeni vanno a incidere anche sul prezzo dei prodotti, oltre che su tutta la filiera: basti ricordare gli aumenti a inizio anno della verdura a causa delle gelate improvvise. Ed è ipotizzabile un rialzo del prezzo di uva, vino o miele, a causa della siccità di quest’annata», avverte Ferrario. A cambiare, però, è anche la geografia produttiva secondo Rotundo che fa l’esempio del grano: «rispetto alla fine degli anni Ottanta le temperature nelle aree della Russia coltivate a cereali cresceranno di 1,8 gradi entro il 2020. Ciò sta comportando un aumento progressivo della produzione di grano russo: quest’anno il raccolto è giunto a 80 milioni di tonnellate, un altro passo avanti rispetto ai 73 milioni dello scorso anno». Aria di forti cambiamenti che arrivano fin dentro il piatto. E chi sostiene che basterà spo-stare le aree di produzione per risolvere il problema la fa un po’ semplice. «L’agro-ecosistema si è evoluto nei secoli – ribadisce Raffaella Ponzio, responsabile dei progetti di Slow Food sulla biodiversità – e quindi non basta spostare le colture più a nord per risolvere il problema perché queste si troverebbero in habitat completamente sconosciuti, e abituati ad altre coltivazioni, con effetti difficili da immaginare. Com’è difficile dire se ci saranno colture colpite in modo particolare, ma gli effetti dell’aumento della temperatura riguarderanno un po’ tutte».


Nella nuova fattoria
Limitiamoci a quelle del Belpaese e dintorni, olivi e vitigni, ad esempio. «Sono piantagioni forti, sensibili solo alle pesti. Negli ultimi anni hanno subito delle leggere flessioni di produzione, ma è presto per affermare che dipenda dal cambiamento climatico. Essendo poi coltivazioni tipiche delle zone temperate, protagoniste di un florido mercato globale, ricevono maggiori attenzione e controlli », dicono dalla Fao, invitando ad aspettare l’evolversi dei modelli di previsione per avere la prova che il colpevole sia il riscaldamento globale, anche per i prezzi ballerini dei prodotti. Nell’attesa, anziché prendere a prestito dalle circostanze qualche scappatoia ingegnosa, è il caso di fare qualcosa, se è vero che l’agricoltura, con il suo 10-15% di emissioni globali di gas serra, è tra le cause del clima che cambia e insieme ne subisce pesantemente le conseguenze. «Un’agricoltura innovativa che rispetti natura e biodiversità, che garantisca la salute di chi produce e la salubrità del prodotto. In una parola agroecologica», ecco che l’agricoltura può offrire anche una soluzione ai suoi stessi problemi e a quelli del pianeta secondo Ferrario. Rispetto a quella industriale, l’agroecologia è molto diversificata e per questo meglio si adatta alle mutazioni climatiche in atto. «Permette la riduzione dell’emissione dei gas serra, non usando trattori e pesticidi, oltreché un aumento della produzione e della qualità dei prodotti. Tuttavia l’agroecologia resta ancora una metodologia di nicchia che difficilmente potrà sostituire quella intensiva», avverte Cattaneo.

Terreno d’intesa
Dunque da un lato il sistema industriale di produzione del cibo che alimenta il circolo vizioso del cambiamento climatico; dall’altro il sistema agroecologico che questo circolo può smorzarlo. «Occorre adattarsi ai cambiamenti climatici (con protezione delle coltivazioni, creazione di riserve d’acqua ecc.), ma nel contempo passare da un modello agricolo che consuma troppa energia a uno più sostenibile. Per questo Coop è impegnata, non da ora, nella tutela ambientale a cominciare dai prodotti a marchio, che rispondono, qualora possibile, a criteri di eco-compatibilità», Chiara Faenza, responsabile sostenibilità e innovazione valori di Coop Italia, riassume il punto di vista di Coop e il suo impegno nella lotta al cambiamento climatico: «diffusione di sistemi biologici, tutela della biodiversità, benessere animale, interventi per il risparmio energetico, certificazioni ambien-tali e già nel 2006, come prima insegna della Grande Distribuzione, Coop iniziò a collaborare con i fornitori del prodotto a marchio per ridurre in modo volontario le emissioni di gas serra nell’ambito di Coop for Kyoto, un programma che si è ampliato diventando Coop e la sostenibilità: verso COP21». Ma anche il mondo agricolo non sta a guardare «cercando di adattarsi ai mutamenti climatici. Le fonti rinnovabili contribuiscono a un minore consumo di carburante e combustibili fossili, diminuendo l’emissione di inquinanti. Inoltre gli agricoltori hanno ripristinato la sostanza organica dei suoli, contribuendo all’assorbimento della CO2. Il sistema agricolo deve, però, essere messo in condizione di produrre in uno scenario climatico diverso – rilancia Rotundo – e servono interventi strutturali come il rinnovamento degli impianti idrici, vecchi di 30 anni, e strumenti idonei per fronteggiare gli effetti di mercati sempre più volatili. Prendendo finalmente coscienza che il clima ci riguarda tutti da vicino».
Per dirla con Carlo Petrini, fondatore di Slow Food, «occorre promuovere un cibo buono, pulito e giusto per tutti, salvare la biodiversità in ogni angolo del pianeta ». Ecco spiegato il sottotitolo della prima campagna internazionale sul legame tra riscaldamento globale e produzione e consumo di cibo, Menu for Change (dona.slowfood.it; #MenuForChange #SlowFood #EatLocal): metti in tavola un futuro migliore.

Campo di ricerca
La ricerca scientifica sull’adattamento dell’agricoltura alle nuove condizioni climatiche. Ne parliamo con Lorenzo Genesio, ricercatore dell’Ibimet - Istituto di biometeorologia del Cnr.
Quali sono i principali problemi per l’agricoltura a causa del cambiamento climatico?
«L’agricoltura non è solo vittima del cambiamento climatico, ma ne è anche causa, con il 10-15% di emissioni di gas serra. I cambiamenti climatici fanno aumentare frequenza e intensità degli eventi meteorologici estremi e della variabilità climatica. Questo determina un serio rischio per la stabilità delle rese agricole per molte specie coltivate».
Le aziende o i produttori privati di olio e vino, per fare solo un paio di esempi, hanno registrato dei cambiamenti negli ultimi anni?
«Nei nostri territori è sempre più difficile la programmazione agricola. Negli ultimi 20 anni registriamo con sempre maggiore frequenza stagioni estreme, che costringono gli agricoltori ad adattare le loro pratiche durante la stagione. Quantità e qualità delle produzioni risultano meno stabili, dando anche problemi in fase di trasformazione dei prodotti».
Qual è lo stato della ricerca sull’adattamento dell’agricoltura alle nuove condizioni climatiche?
«La ricerca si muove lungo tre filoni principali: miglioramento delle risorse genetiche, identificando specie che rispondano meglio alle nuove condizioni ambientali, perfezionamento delle strategie di gestione agronomiche e sviluppo del comparto dell’informazione, permettendo di rendere più efficaci l’allerta e la previsione».
L’agroecologia può rappresentare una soluzione?
«L’agricoltura riveste un ruolo importante nella mitigazione del cambiamento climatico e, con una gestione appropriata, si possono ridurre le emissioni di gas serra. Le strategie per migliorare la protezione della sostanza organica nel suolo e aumentarne il contenuto possono contribuire a contenere il cambiamento climatico e diminuirne l’impatto sulle risorse». (J.F.)

Tempo scaduto
Temperature sempre più alte e soglia massima di anidride carbonica concentrata nell’atmosfera: sale la febbre del pianeta Terra
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Più 0,85 gradi centigradi rispetto alla temperatura media del trentennio 1951- 1980. Agosto 2017, secondo le misure della Nasa, è stato alquanto caldo, subito dietro il primato dello scorso anno (+0,99). E se insiste la tendenza, il 2017, sempre secondo l’ente americano, salirà sul podio degli anni più caldi dal 1880. Ma questa volta c’è qualcosa di diverso: condizioni termiche neutre, come dicono i climatologi, nel Pacifico equatoriale, cioè nessun effetto collaterale “dopante” dovuto a un forte episodio come El Niño che ha stimolato il riscaldamento estivo nel 2016. L’ondata di caldo non ha surriscaldato solo l’Europa o l’America, ma tutto il pianeta, anche il sud, una terra prevalentemente oceanica, segnato dalla quarta più forte anomalia termica (+0,73) dal 1880. Ma è solo confrontandoli con quelli del periodo preindustriale, non inquinati dalle emissioni antropiche di gas serra, che i dati di quest’anno prendono tutto il lorosignificato: paragonati al periodo 1880- 1899, l’anomalia estiva del 2017 sale, infatti, a +1,05 gradi e ci lascia molto perplessi.
In questo senso: alla Conferenza internazionale sul clima di Parigi (la COP21 del 2015) è stato siglato un accordo per contenere il riscaldamento, rispetto al periodo preindustriale, sotto i 2 gradi, possibilmente sotto l’1,5. Con questi numeri, le chances di raggiungere l’obiettivo sembrano piuttosto deboli, del 5%, secondo uno studio pubblicato lo scorso luglio sull’autorevole rivista Nature climate change. L’aumento, più probabile (al 90%) sarà di 3,2 gradi esi colloca, secondo lo stesso studio, in un range da 2 a 4,9 gradi per il 2100. Dato questo in linea con l’ultimo rilevamento, preoccupante, non c’è che dire, della Noaa (la statunitense Amministrazione Nazionale Oceanica ed Atmosferica): lo scorso 5 maggio la concentrazione atmosferica di CO2 ha superato la soglia di 400 ppm (parti per milione), sinonimo per alcuni ricercatori di punto di non ritorno. (Patrice Poinsotte)

 

In vino veritas
Il vino con i tempi che corrono...

Gran fermento per il vino a causa del tempo che cambia. Secondo recenti studi della Coldiretti negli ultimi 50 anni per effetto del cambiamento climatico la gradazione dei nostri vini è aumentata in media di più di 1 grado e la presenza della vite si è spostata verso l’alto fino a quasi 1.200 metri di altitudine, come mostra l’esempio di Morgex e La Salle, in Val d’Aosta, dove si trovano i vitigni più alti d’Europa. «La maturazione più rapida dell’uva ha bisogno di una vendemmia più precoce. Sotto l’effetto del sole gli acidi contenuti nell’uva vengono progressivamente sostituiti dallo zucchero – spiega Raffaella Ponzio, responsabile dei progetti di Slow Food sulla biodiversità –, che durante la vinificazione crea l’alcol. La conseguenza principale di un clima più caldo è quindi un’uva più zuccherina e un vino più alcolico. Ma, se l’aumento della temperatura genera globalmente maggiori volumi di produzione, la canicola produce anche un effetto inverso», afferma Ponzio. Venendo a quest’anno «si è dovuto anticipare la vendemmia e il calo medio delle rese è del 26% della produzione, dovuto alle gelate tardive della scorsa primavera – dichiara Donato Rotundo, direttore area sviluppo sostenibile ed innovazione di Confagricoltura –. L’inverno mite e asciutto, con gelate intempestive appunto, la prolungata siccità e le elevate temperature hanno alterato il ciclo di maturazione delle uve, però la qualità del vino potrebbe essere ottima; gli acini hanno, infatti, subito minori trattamenti fungicidi». Guardando più avanti nel tempo, l’aumento della temperatura media annuale potrebbe rivelarsi particolarmente critico per i terroir storici e per le varietà autoctone «perché meno adattabili rispetto ai vitigni internazionali a causa della loro elevata specificità ambientale», chiarisce Jacopo Ghione, coordinatore del gruppo sul cambiamento climatico di Slow Food. Una lista di problemi che è anche una sfida per gli addetti ai lavori: «I siti più freschi di bassa collina potrebbero nel tempo beneficiare dell’incremento termico e candidarsi ad essere i più adatti per la coltivazione di questa varietà – dicono da Slow Food –. Si ridisegnerà di certo la “geografia del vino”, come già accaduto in passato. Ora nella Heathcote australiana si stanno introducendo varietà dell’Italia centromeridionale, come il Montepulciano, il Nero d’Avola, il Sagrantino, l’Aglianico». (R.N.)

 

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