Una signora macchina

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3 Maggio 2017
Quella antifrode acquistata da Coop per il suo laboratorio, che fotografa il dna scoprendo cosa c’è dentro una miscela di pesce, cosa contiene il cibo per animali o se i mix di carne corrispondono a quanto dichiarato. E la difesa del consumatore si rafforza.
di Claudio Strano

È stata impiegata con successo in Sierra Leone durante la recente epidemia di Ebola. Viene usata nei reparti di oncologia alla ricerca delle cellule malate ed è considerata dai biologi molecolari una miniera preziosa di tante e tali informazioni, che c’è bisogno di uno speciale software messo a punto in Portogallo per tradurle in file di testo leggibili e utilizzabili in laboratorio, senza impazzire. È una macchina solo in apparenza come le altre quella di cui parliamo. Si chiama Pgm Ion Torrent (Personal genome machine-Torrente di ioni) ed è stata acquistata da Coop Italia con un notevole sforzo economico. La tecnologia che usa è la Ngs (Next generation sequencing), decisamente all’avanguardia. Consente di passare, se adottata in ambito alimentare, dalla domanda «c’è quella specie? » alla domanda «quali specie sono contenute» in un determinato prodotto? E di trovare le risposte. 

A nostra difesa
Un salto notevole, se il problema è quello di porre un freno all’eterna rincorsa tra chi commette frodi alimentari, con tecnologie sempre più nuove e sofisticate, e chi cerca di individuarle per difendere il consumatore, senza sapere, in partenza, quale sia la sostanza estranea da ricercare. Il caso emblematico è quello della “crisi del cavallo” del 2013, quando fu trovata carne equina non dichiarata in diverse partite di carne. Fino a quel momento con le varie analisi di routine venivano ricercati solo il pollo, il tacchino e il suino come sostituti della più costosa carne bovina. Ma le analisi convenzionali non furono sufficienti a scovare ciò che non si sospettava, cioè il cavallo. Ne servirono di non convenzionali, con tecnologie più avanzate. La Pgm Ion Torrent, assieme a un’altra strumentazione, la Digital Pcr – adottata anch’essa quest’anno nel laboratorio di Coop Italia, a Casalecchio di Reno – «è proprio la tessera che mancava nel mosaico alimentare». Così la definisce la responsabile dell’area di biologia molecolare del laboratorio, Sonia Scaramagli, che tutti i giorni è alle prese con matrici mono o multi-ingrediente per stabilire l’autenticità di un filetto di pesce o di un ragù, verificando la corrispondenza tra il bestiame allevato e il campione di prodotto finito.

Linee di ricerca
A lei e agli altri biologi italiani la tecnologia Ngs permette ora l’approccio un-tarnget, ovvero analisi ad ampio spettro che fotografano ciò che è contenuto effettivamente in un prodotto sulla base del suo genoma. Le risposte arrivano nel giro di tre giorni e hanno un alto grado di attendibilità. In sostanza, è un po’ come se si facesse la Tac completa a un prodotto: la Ngs segnala la presenza di specie “estranee” che vanno poi messe a fuoco con un supplemento d’indagine, mentre la Digital Pcr migliora le performance della sua progenitrice (la Real-time Pcr). Coop con questa mossa si attesta sul versante delle ricerche biologiche ai più alti livelli nella lotta alle frodi e alle contaminazioni dei cibi, così come quattro anni fece nell’area sensoriale acquistando Heracles II, il “naso elettronico” che è capace di risalire all’indicazione geografica dell’olio extravergine e di altre matrici, “annusandone” i composti volatili. In entrambi i casi è l’impronta digitale (fingerprinting), unica e irripetibile, a garantire che si può stare tranquilli o, al contrario, è necessario intervenire.

Frodi barbare
Dalla “crisi del cavallo” del 2013 alla adulterazione dell’origano dello scorso anno, passando per le mozzarelle di bufala che contenevano in realtà latte vaccino: le frodi alimentari periodicamente tornano, infatti, agli onori della cronaca. Pesce, olio e miele figurano in cima alla lista nera, ma ai primi posti troviamo anche i mix di spezie oggi molto in voga (curcuma, zafferano, chili, paprika, ecc.) che si prestano a manomissioni volute o anche soltanto a contaminazioni accidentali, da addebitare alla poca pulizia o cura degli ambienti di lavorazione. Il problema non tocca solo il cittadino che fa la spesa, ma ha, come si può immaginare, dei notevoli risvolti economici per le industrie e i loro rapporti con i fornitori, nonché per l’immagine stessa del made in Italy. Basti pensare ai tanti sapori che arricchiscono i prodotti finiti italiani esportati in tutto il mondo. «Vogliamo essere sicuri – dice un’esperta del settore – che ciò che c’è scritto in etichetta veramente ci sia». E il grado di identificazione delle specie può arrivare, con queste nuove e potenti strumentazioni, a livelli fino a qualche anno fa impensabili.

 

Lente di osservazione
Sotto la lente della “non conformità a quanto dichiarato” finiscono, per ora, bastoncini e filetti di pesce, il pet food (cibo per animali) di cui non è sempre chiara la composizione, i probiotici e la loro formulazione, i macinati di carne e altri composti. Ma già sono in atto sperimentazioni interessanti sul versante della tracciabilità che consentono di associare un formaggio a una singola stalla, ad esempio, abbinando i profili genetici dell’uno e dell’altra. Questo per evitare la vendita di prodotti lattiero-caseari “di alta montagna” che tali però non sono. A seguire questo specifico studio, realizzato con la Ngs e denominato From fork to farm (Dalla forchetta all’azienda agricola), è l’Istituto zooprofilattico sperimentale di Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta. I primi risultati sono molto incoraggianti lungo la strada che porta al controllo vero delle etichette e alla fiducia piena del consumatore. Il futuro della tipicità, come del biologico, sarà probabilmente quello di poter avere la certezza scientifica del binomio prodotto-azienda. E non è poco, visto che, come riporta un biologo dell’Istituto zooprofilattico piemontese, «il 20-30% dei prodotti vari sospettati di frode per sostituzione, inviatici da Nas e Capitanerie di porto, che sono molto bravi a setacciarli, risultano positivi».

 
Lo strumento di Next generation sequencing in dotazione a Coop Italia. Il suo nome, Ion Torrent, indica la tecnologia di sequenziamento del dna di ultima generazione