Andiamo a convivere. Anzi no, a coabitare. Non si tratta di condividere un appartamento o una casa, come farebbero degli studenti fuori sede o un coppia di fidanzati. Per cohousing si intende un nuovo modello abitativo, fatto di alloggi privati più piccoli della media, ma dotati di tutto e corredati da ampi spazi destinati all’uso comune tra i conviventi. Tra i servizi collettivi ci possono essere cucine, lavanderie, laboratori per il fai da te, biblioteche, spazi gioco per bambini e tutto quello che si può condividere. Inoltre c’è la condivisione dei beni: dall’auto al cibo, con i gruppi d’acquisto, dai servizi medici e sanitari alla cultura. Ogni cohousing può diventare, infatti, luogo di eventi di ogni tipo da condividere tra coinquilini e non solo.
Senso comune
Il cohousing è un’evoluzione del primordiale modello di comunità; ma nei nuovi insediamenti abitativi c’è la consapevolezza e la progettazione di qualcosa di sostenibile. È il 1964 quando l’architetto Jon Godmand Hoyer progetta il primo; poi a partire dagli anni Settanta comincia a diffondersi nei paesi del Nord Europa, dove è più forte il richiamo comunitario, per rompere l’isolamento e il frazionamento familiare. Oggi sono 600 i cohousing danesi, un centinaio in Olanda, 50 in Svezia e così via. Ma vivere insieme ha preso piede anche in Italia dove, più che in altri paesi, si sono fatti sentire i venti della crisi «Viviamo una crisi economica che ha portato all’emergenza abitativa per tutte le fasce sociali – commenta Rossella Galdini, docente di sociologia dell’abitare dell’Università La Sapienza di Roma –. Coabitare ha molti vantaggi, come il risparmio economico, la riduzione dell’impatto ambientale e il rilancio edilizio. Tantissimi sono gli edifici dismessi che potrebbero essere recuperati come condomini solidali, ma queste iniziative devono partire dai privati – suggerisce Galdini – ed essere proposte alle istituzioni in modo che esse comprendano le opportunità che potrebbero derivare in termini economici, occupazionali e di miglioramento della qualità di vita». Oltre alle difficoltà economiche anche la frammentazione dei nuclei familiari rende attuale questo modello abitativo: «la famiglia tradizionale è stata sostituita da diverse tipologie di “coabitanti”, dal singolo alla coppia di anziani, ai genitori separati – prosegue la docente –. Si stanno moltiplicando le esigenze abitative e così nascono nuove idee di casa».
Civile abitazione
Coabitare significa condividere le spese e ottimizzare i consumi, con la possibilità di una rendita economica, grazie alla vendita di prodotti biologici o l’affitto di strutture interne, come palestre, piscine o appartamenti destinati a vacanze o soggiorni lavorativi. «La città è il luogo della solitudine – afferma Galdini –, le metropoli, ma anche i centri più piccoli, hanno portato a un isolamento del cittadino che comporta numerosi disagi. Esiste quindi una rinnovata voglia di comunità. E i vantaggi derivanti da questi nuovi modelli sono molteplici, sia a livello economico che di tempo, per la sostenibilità e l’ecologia». I primi a beneficiarne sono gli anziani che, grazie alla coabitazione, riescono a mantenere la loro autonomia, condividendo spese e attività ricreative. Una soluzione alternativa alla casa di riposo, che nel nostro paese, dove è alto il numero degli over 65 e circa la metà percepisce pensioni inferiori ai 1.000 euro, potrebbe migliorare la vita di molti. Senza creare cohousing di soli anziani, ma di generazioni diverse che vanno a vivere insieme.