Chi non ha mai avuto la sensazione di essere già andato in un luogo nel quale in realtà non ha mai messo piede? Di aver già vissuto una situazione identica, di aver già conosciuto uno che si incontra per la prima volta? Luoghi, persone, eventi, odori, tutto sembra così improvvisamente familiare con quest’esperienza – definita in Francia a fine Ottocento con il termine déjà vu – che si lega a sentimenti di sorpresa, incredulità, inquietudine. E dopo questa con-fusione delle dimensioni del tempo, le cose ritornano al loro posto: in pochi istanti l’ordine del tempo appunto riprende forma, il passato ritorna conosciuto, il presente incerto e il futuro misterioso.
Viaggio nel tempo
Una sensazione di “già visto”, come affermava nel 1876 il filosofo Émile Boirac, tanto affascinante e inquietante da sedurre pensatori, artisti, medici, psicologi e scienziati di tutto il mondo, e molto più comune di quanto si pensi. Dal corto circuito cerebrale che determinerebbe inconsciamente quello che nell’ambiente della persona concorda con esperienze passate a alcune forme di epilessia: ciò che ci dice la scienza è che il déjà vu può colpire chiunque, ovunque, anche se i giovani adulti sono particolarmente inclini a questo scherzetto delle memoria, molto di più degli over 40. Ma come spiegare “quest’emozione che ci fa riflettere sulla nostra percezione del tempo, sulla coscienza e sull’inconscio stesso”, per usare le parole del filosofo Remo Bodei nel libro Piramidi di tempo. Storie e teoria del déjà vu (Il Mulino)?
Ci sarebbero 2 tipologie di memorie: quella semantica e quella episodica.
La prima riguarda il ricordo del senso delle cose, delle definizioni, delle nozioni perenni come, per esempio, che Roma sia la capitale d’Italia.
La seconda è, invece, più concreta e ha un gusto di realtà: il souvenir di un viaggio a Parigi, per esempio, col suo premio di sensazioni allegato. «Non si tratta, però, di semplici ricordi freddi – spiega lo psicologo americano Endel Tulving, tra i primi ad occuparsene –, ma di rivivere un’esperienza mentalmente. È una sorta di viaggio nel tempo mentale, una maniera di rievocare qualcosa che è già successo».
Gocce di memoria
Questo momento l’ho già vissuto, magari in un’altra vita. Un’interpretazione bizzarra per quella sconcertante sensazione di déjà vu che gli scienziati fin dagli anni Settanta hanno sostituito con una ben più fondata, imputando il fenomeno a una falla nel sistema della memoria. Il déjà vu sarebbe cioè legato a una disfunzione di quest’ultima che dà la sensazione errata di vivere una situazione in tempo reale. Durante quest’attività di ri-memorizzazione svolge un ruolo fondamentale l’ippocampo: una recente ipotesi postula, infatti, un intreccio tra le zone cerebrali responsabili del sentimento di familiarità e quelle del ricordo. Di solito la prima riconosce un fatto come consueto e poi tocca all’ippocampo spiegare questa sensazione riportando in superficie il ricordo di quello che è successo in passato. Ecco perché una situazione può apparire familiare e nuova insieme. Inoltre secondo un recente studio condotto al Centro delle scienze della salute dell’Università del Texas (Usa) sarebbe una discordanza nel funzionamento del sistema nervoso a farci coniugare il presente al passato. «Non abbiamo ancora determinato le cause concrete all’origine della sensazione di déjà vu – afferma Michelle Hook, autrice della ricerca –, ma le radici del fenomeno sono da ricercare nei meccanismi di conservazione della memoria, principalmente nella regione temporale del cervello incaricata di trattenere i ricordi di lunga durata». Ottenuti grazie all’analisi dei cervelli di pazienti epilettici, i risultati hanno portato gli scienziati alla conclusione che il déjà vu potrebbe essere provocato dall’attivazione alterata di alcuni processi nervosi nel cervello.
Era ora
E la stessa cosa può succedere nella mente di persone sane: «le sensazioni di déjà vu potrebbero essere provocate dalla discrepanza d’influssi nervosi quando il cervello prova a ricostruire una visione completa del mondo mentre l’immagine che sta vedendo è limitata», concludono i ricercatori texani. Grazie ai moderni strumenti delle neuroscienze – che non saranno la chiave per aprire tutte le porte della nostra mente, ma un contributo importante lo danno – il “già visto”, lontano dal rappresentare l’eco dell’“ allora” nel “qui e ora”, è indagato attraverso i meccanismi nascosti nel lobo temporale. Patrick Chauvel, professore all’Università francese di Aix-Marseille, spiega che «la stimolazione della corteccia entorinale causa un déjà vu nel 15 per cento dei casi, mentre quella dell’ippocampo o dell’amigdala ne provoca uno solo nel 5 per cento». Ragione per cui il fenomeno viene associato a una disfunzione delle strutture implicate nel processo di familiarità: tutto accade come se la formazione di un ricordo non avvenisse dopo, ma nello stesso momento della scena. Una sorta di trompe l’oeil temporale che disorienta, in cui il presente è insieme percezione e ricordo. Inutile perciò scervellarsi alla ricerca di quando e perché, quella strada o quella piazza la stiamo attraversando per la prima volta.