Portatile e connessione internet. Spesso non serve altro a creativi e liberi professionisti per svolgere le loro attività. L’ufficio ha perso la sua importanza e in molti ormai godono del lavoro da casa: nessun orario, nessun controllo, pochi costi. Molti vantaggi certo, ma non senza difetti. Uno tra tutti l’isolamento. Non c’è voluto molto così che uno di questi freelance cercasse una soluzione all’isolamento casalingo. Era il 2005 quando Brad Neuberg, brillante programmatore della Silicon Valley, lanciò Spiral Muse, il primo spazio di lavoro condiviso aperto ai soli freelance: era la nascita del coworking. Pur fallendo, l’idea era nata e di lì a poco divenne globale.
Condivido in pieno
Un coworking non è un semplice ufficio, ma la sperimentazione di un nuovo modello di lavoro, basato sulla collaborazione e sullo scambio di informazioni e di differenti professionalità. In questi spazi lavoratori autonomi, indipendenti l’uno dall’altro possono affittare una postazione per una media di 20 euro al giorno e 250 al mese. Oltre alle scrivanie possono poi trovarvi aree comuni, dove rilassarsi e scambiare idee e pareri. «La vera innovazione del coworking non è la condivisione di spazi fisici, ma di quelli relazionali – afferma Ivana Pais, ricercatrice di sociologia economica e del lavoro dell’Università Cattolica di Milano, esperta di social network e comunità professionali digitali –. La cosa più importante è l’incontro di professionalità diverse: in questo modo si crea all’interno di uno spazio di lavoro una rete di relazioni che si apre all’esterno, più forte di un singolo lavoratore.
Così un professionista potrà promuovere un suo progetto con più forza ed efficacia – sottolinea Pais –, ampliare il numero di clienti, oltre che conoscenze. Un programmatore può chiedere un parere legale ad un avvocato, un ingegnere farsi conoscere grazie ad un pubblicitario e così via, dando vita a un circolo virtuoso ricco di potenzialità». Secondo “Deskmag”, rivista dedicata al coworking, il 90 per cento dei coworkers ha, infatti, allargato la sua cerchia di contatti e clienti da quando ha il suo spazio condiviso, l’85 per cento ha aumentato il suo giro d’affari mentre il 75 per cento ha incrementato la sua produttività. Tra loro giornalisti, artisti, fotografi, programmatori, pubblicitari e compagnia creativa, ma sempre più professioni si sganciano dai vecchi uffici in cerca di innovazione. Si trovano così a condividere il lavoro anche avvocati, architetti, consulenti e altri lavoratori autonomi e soprattutto startuppers. Ormai in Italia i liberi professionisti sono il 50 per cento dei lavoratori, più di operai e impiegati messi insieme, e un numero sempre crescente decide di condividere la sua esperienza lavorativa.
Luogo comune
Ma il fenomeno va oltre i freelance e aumentano a poco a poco le aziende che si aprono a questi luoghi messi in comune, spazi condivisi, per svecchiarsi e stare al passo coi tempi. I coworking nascono e si sviluppano nelle grandi città, a Milano, Firenze, Roma e Torino; hanno un forte legame con il territorio, sorgendo laddove c’è una maggior vivacità e voglia di sperimentare. È al Nord, tra Piemonte, Lombardia e Veneto che sorge una vera e propria Silicon Valley italiana, con più di 200 spazi condivisi, oltre a fab lab e aziende hi-tech. Tuttavia i coworking riescono anche a uscire dalle città, come ci spiega Pais: «Questa è una vera novità. Sono molte oggi le zone di provincia colpite dalla crisi. È inevitabile che certe idee e innovazioni oggi siano meglio accolte in paesi e da parte di persone che hanno poco o niente da perdere. Dove un modello economico o lavorativo è fallito o è in difficoltà, è chiaro che si cerchino altrove soluzioni. Si recuperano gli spazi abbandonati, fino nei centri più isolati. Penso, ad esempio, ai coworking rurali come quello di Atzara o lo spazio di coliving di Matera. Privati o più spesso le stesse amministrazioni – conclude l’esperta – si fanno carico di creare luoghi che permettano di lavorare, portando la banda larga e facilitando l’incontro di professionalità che arricchiscano il territorio. Il rischio che restino slogan o contenitori vuoti c’è, ma è una strada da seguire e che già molti hanno imboccato».
Farsi spazio
Piccole e grandi esperienze italiane di lavoro condiviso, nel segno dell’innovazione.
L’Italia è un grande incubatore di coworking. Modelli sperimentali che, oltre ad avere successo in patria, riescono a valicare i confini e imporsi all’estero. Uno dei più grandi è Talent Garden, che con una ventina di sedi aperte solo in Italia, 5 in Europa e una a New York è la più grande piattaforma di innovazione e coworking. Altra realtà interessante sono i CoWo, rete in franchising di spazi di lavoro condiviso molto piccoli ma presenti in tutta Italia, con 110 sedi in oltre 60 comuni: l’idea vincente è la rete che lega i piccolissimi centri di lavoro condiviso, che è garanzia di affidabilità e serietà. A Milano è nato lo spazio Copernico, fondato dall’iniziativa di un migliaio di liberi professionisti del settore e che ora si sta allargando ad altre città come Firenze, Roma, Torino, Trieste e Venezia. Interessanti poi i piccoli esempi locali, come Casa Natural di Matera, spazio di coworking e coliving: rivolto ai nomad workers, lavoratori autonomi che si spostano di continuo con i loro portatili, offre la possibilità di soggiornare e condividere con professionisti del posto le loro idee, arricchendo il territorio. Da poco, invece, ha aperto il coworking rurale di Atzara, in Sardegna, uno spazio multidisciplinare che farà rivivere un vecchio fabbricato per realizzare le condizioni minime necessarie allo sviluppo e all’incremento del lavoro imprenditoriale.