Ci accorgiamo solo ora, nel bel mezzo dell’estate, che un tuffo dai nostri arenili è un affare maledettamente serio. Tra cementificazione selvaggia, bagnasciuga spariti per effetto dell’erosione, e spiagge in concessione ai privati, l’accesso libero ai nostri mari sta diventando un miraggio. Dei nostri litorali, che tanto avevano solleticato l’immaginario di scrittori e poeti fin dall’antichità, rimane ben poca cosa, seppelliti da alberghi e strade, palazzi e porti, centri commerciali e lidi diventati vere e proprie cittadelle con piscine, negozietti e baracchini. Solo negli ultimi 30 anni, cioè da quando nel 1985 fu approvata la cosiddetta Legge Galasso che tentò di porre un argine allo sfruttamento delle nostre zone costiere, sono spariti sotto il cemento ben 222 chilometri di spiagge, al ritmo di 8 chilometri l’anno. Dal dopoguerra ad oggi, dei 3.902 chilometri di spiagge della penisola, più della metà sono stati trasformati, in modo quasi sempre irrimediabile, dalla cementificazione. Come segnala il Wwf, oggi sono rimaste appena 350 aree costiere del nostro paese che hanno almeno 3 chilometri di costa libera, non interrotte da manufatti e infrastrutture. 900 chilometri di costa sono in mano a 12mila concessionari privati (erano 5mila nel 2000), che di proroga in proroga, in molti casi trasformano i litorali in fortini privati.
La costa in gioco
Certo, alcune regioni stanno correndo ai ripari. In altre, le spiagge libere sono una chimera, come in alcuni comuni della Liguria, dove sono ridotte a meno del 10 per cento. E, come se non bastasse, a causa della cementificazione indiscriminata, degli interventi impropri, dei megaprogetti di nuovi porti e infrastrutture, senza contare i danni della pesca a strascico – oggi vietata ma fino a ieri praticata a man bassa – che ha stravolto la flora dei nostri fondali, un altro prepotente problema sta emergendo negli ultimi anni: l’erosione delle coste. Più del 40 per cento delle spiagge stano sparendo, inghiottite, onda dopo onda, dal mare. Il record negativo dello scempio spetta a Calabria, Liguria, Lazio e Abruzzo dove si salva ormai solo 1/3 dei paesaggi, mentre tutto il resto è occupato da palazzi, ville, alberghi, porti. La Calabria ad esempio. Chi l’ha frequentata più di 30 anni fa, era colpito dal fatto che in questa regione fossero pochissimi gli insediamenti sulla costa: spiagge incontaminate, con qualche sparuto borgo e centri abitati prossimi al mare, arroccati sulle colline. Ebbene, questo scenario non esiste più. La selvaggia Calabria costiera è un ricordo. Per chi volesse fare l’esperimento, percorra la costa tirrenica, da Lamezia Terme al confine con la Basilicata. Troverà un unicum di seconde case abitate per un mese all’anno. Oggi dei 798 chilometri del litorale calabro – secondo i dati di Legambiente – 523, pari ai due terzi, sono stati cementificati. Ma anche la Liguria ha perso il 63 per cento delle sue spiagge, altrettanti l’Abruzzo. «A preoccupare particolarmente è il fatto che la cementificazione non si sia affatto fermata in questi anni. L’approvazione della Legge Galasso fu l’ultimo momento di vera attenzione nei confronti della tutela del patrimonio costiero, quando si individuò un vincolo di 300 metri da rispettare. Ma malgrado ciò, i limiti introdotti nel 1985 si sono rivelati incapaci di fermare questi processi», spiega a Nuovo Consumo il vicepresidente di Legambiente, Edoardo Zanchini.
Cemento armato
Nel Lazio le trasformazioni avvenute successivamente, hanno cancellato qualcosa come 41 km di paesaggi costieri con caratteri naturali o agricoli. In Puglia sono ben 80 i chilometri di costa trasformati dopo l’approvazione della legge. Il Molise è la regione dove negli ultimi decenni è stata più rilevante l’aggressione del cemento, con il 28,6 per cento della costa trasformata. E in Toscana, quasi la metà dei 410 km di costa è stato modificato da interventi edilizi. Negli ultimi anni la trasformazione non ha risparmiato suoli ancora integri, agricoli e naturali, in particolare tra Grosseto e Follonica e tra Piombino e Riva degli Etruschi. «È rilevante – fanno sapere da Legambiente – che solo il 15 per cento della costa risulti sotto tutela ambientale. Ora è necessario fermare il cemento, che sta mettendo a rischio, con la moltiplicazione di case, alberghi, porti, residence con una crescita da un lato dei centri più grandi e la saldatura dei centri più piccoli, le aree rimaste libere». Cosa non ha funzionato? «La legge poneva un vincolo, spesso mal interpretato, che non vietava le nuove costruzioni ma rimandava a un parere paesaggistico e alla redazione di piani regionali, che però sono stati approvati in poche regioni senza troppi vincoli e nella più totale disattenzione da parte del Ministero per i beni e le attività culturali», aggiunge Zanchini. Nel corso del 2015, su impulso del Governo, il Parlamento ha approvato la cosiddetta Legge Madia, con l’intento di semplificare le procedure di autorizzazione a costruire. Norma contro cui sono insorte le associazioni ambientaliste. Se entro 90 giorni gli enti preposti alla tutela non rispondono, vale il cosiddetto silenzio-assenso. «Con questa norma – osserva Zanchini – i rischi aumenteranno. Quello che abbiamo proposto è semplice: prevedere il silenzio assenso solo in quelle regioni che hanno approvato i Piani paesaggistici ai sensi del Codice dei beni Culturali».
Mal di mare
Ma un’altra minaccia incombe sulle nostre coste. Secondo i dati dell’Ispra, il 42 per cento delle coste italiane è minacciata dall’erosione. Un fenomeno a cui stiamo contribuendo con la costruzione di grandi opere come il porto di Anzio (l’Italia ha 525 porti, uno ogni 14 chilometri) che rischia di fare enormi danni a tutto il litorale a sud di Roma, e interventi che nelle intenzioni dovrebbero proteggere le coste, ma che in realtà costano parecchio e fanno molti danni. «Con una mano – denuncia, in un dossier, il Wwf – lo Stato contribuisce a erodere la costa spendendo denaro per gli interventi strutturali sul litorale, come i porti, o nell’entroterra, con le attività estrattive dai fiumi, dall’altra spende decine di milioni di euro per ripascimenti artificiali lungo la costa spesso realizzati con materiali di scarto. Con il risultato che in alcune regioni il business del ripascimento artificiale sta svuotando le casse delle amministrazioni in una sorta di mutuo perpetuo pagato col denaro pubblico». In Lazio, ad esempio, per opere di difesa delle spiagge si sono spesi circa 320 milioni di euro negli ultimi 10 anni, ma le spiagge continuano a sparire. È il tema caldo tra i 3 che assediano le nostre coste. L’Italia ha chiesto una ennesima proroga, fino al 2020, delle attuali concessioni rilasciate a 12mila esercenti privati, uno ogni 350 metri di costa. Richiesta respinta al mittente dall’Ue. Il nostro paese, fino a questo momento, ha tentato di tutto pur di non attuare la direttiva Bolkestein che dovrebbe liberalizzare le concessioni, mettendole a gara, e rendere le procedure più trasparenti. Anche perché al momento le cose vanno tutt’altro che bene. Dai canoni di concessione del litorale lo Stato incassa pochissimo. «Appena 100 milioni, che però dovrebbero essere 300, a causa dell’evasione fiscale, francamente una cifra irrisoria», denuncia il sottosegretario all’economia Pierpaolo Baretta.
Divieto d’accesso
L’accesso libero al mare, intanto, è un miraggio in parecchie località. Palermo conta 14,57 chilometri di costa balneabile, completamente occupati da complessi commerciali e dagli stabilimenti che raramente concedono l’ingresso libero. Nel comune di Comacchio non esistono spiagge comunali. Nelle 7 frazioni del litorale, i 148 stabilimenti balneari occupano 28 chilometri di spiaggia rispetto ai 40 totali e praticamente vige il divieto di stendere il proprio asciugamano sulla battigia di fronte alle cabine. A Ostia, il lungomare è stato ribattezzato dai romani il “lungomuro”, dove le poche spiagge libere non sono altro che corridoi tra uno stabilimento e l’altro. In compenso sopravvivono le coste nelle aree protette, ma fino a quando? Infine una buona notizia: ad aprile è stato firmato il Protocollo d’intesa per la redazione di linee guida nazionali per la difesa della costa dai fenomeni di erosione e dagli effetti dei cambiamenti climatici tra il Ministero dell’Ambiente e della Tutela della terra e del mare e le Regioni rivierasche. La Toscana sarà impegnata in particolare nella programmazione e gestione integrata della fascia costiera.