Società a responsabilità illimitata

  Aggiungi ai preferiti
Del rapporto tra i giovani e la società contemporanea parliamo con Francesco Mattioli, ordinario di sociologia all’Università “La Sapienza” di Roma
di Rita Nannelli

Veniamo subito al tema: qual è il rapporto dei giovani con la società e della società con i giovani? «Di quali giovani parliamo? I giovani sono un categoria eterogenea. Ci sono quelli che si sono trovati alle prese con i problemi del lavoro proprio nel periodo della recessione, i trentenni di oggi; quelli che si apprestano a uscire dalla scuola e gli under 16. I primi stanno soffrendo il cambiamento delle prospettive e delle strategie occupazionali perché erano stati educati all’idea del posto fisso e all’importanza della laurea, e oggi si trovano a dover combattere per definire il loro futuro lavorativo. I secondi sanno di dover affrontare una società incerta e competitiva, si rendono conto che la laurea potrebbe non servire, che il mercato del lavoro va inteso in senso globale, che devono essere pronti a tutto. I terzi vivono ancora in una bolla, perché nessuno è in grado di dire loro quale futuro li attende e a loro volta se ne disinteressano, limitandosi a giocare alla consolle e stando nelle communities virtuali».
Così i giovani rappresentano un problema che la società contemporanea non sa risolvere. «Diciamo così: la società oggi non è in grado di lavorare per il futuro, se non su alcuni tavoli ormai consolidati, ma le politiche attive del lavoro giovanile dovranno essere al primo posto nei governi di oggi e di domani. Il che non è facile: c’è una crescita economico-produttiva meno favorevole che in passato nel generare occupazione; c’è la riduzione dei posti di lavoro (con lo sviluppo dell’automazione); c’è la resistenza dei lavoratori garantiti, che non se la sentono di uscire prima del tempo per far posto ai giovani; c’è, paradossalmente, la necessità di allungare il percorso lavorativo proprio per garantire il fondo pensione alle nuove generazioni; c’è una scolarizzazione sempre più elevata, che fa disdegnare i lavori più “bassi”.  E i giovani vedono la società sempre più estranea, distante, una sorta di arena dove occorrerà combattere. L’altro sarà sempre più spesso visto come un avversario da sopraffare o un alleato da blandire, comunque da usare. C’è anche un solidarismo giovanile che si perde, però, non appena il mondo adulto ti richiama all’ordine».

Quali sono i punti riferimento dei ragazzi di oggi, se li hanno? «I punti di riferimento oggi continuano a essere i personaggi carismatici, che si tratti di cantanti, attori, sportivi, del papa o di Zuckerberg, perché vengono considerati o fuori del recinto delle regole o personaggi che “ce l’hanno fatta”. Poi ci sono i punti di riferimento etici, quelli del politicamente corretto (inclusione, liberalizzazione dei rapporti di genere, sostenibilità economica, ambientalismo ecc.). Alcuni ci credono e si impegnano, altri ripetono queste parole a pappagallo perché fa giovani e libertari. Confido in coloro che condividono veramente certi ideali e che li sentiranno propri anche fra 30 anni. Non credo, invece, che i giovani esaltino più di tanto la tecnologia, per la semplice ragione che per loro è normale».
E i genitori? Sanno che cosa i figli si aspettano da loro sul piano educativo e affettivo? «Se gli adulti capiscono i giovani… Può darsi che si mettano talvolta nei loro panni, che tentino di riconoscersi in loro, ma le circostanze cambiano. In realtà, giovani e adulti spesso non si capiscono, ma è del tutto normale, perché essi costruiscono subculture in parte differenti, determinate da bisogni differenti e soprattutto da posizioni differenti sulla scala del potere. È quello che viene definito conflitto generazionale, un fenomeno che si ripete in qualsiasi società ed epoca storica. È anche un conflitto che cambia continuamente gli attori, perché i giovani diventano adulti e a loro volta devono fronteggiare la contestazione dei loro figli. Ma oggi alle difficoltà ordinarie del dialogo intergenerazionale se ne aggiungono altre»

Infatti la famiglia non passa un bel momento. «La famiglia è spesso divisa, comunque distratta, tendente a comprarsi l’amore dei figli nei negozi di elettronica. Inoltre i genitori di oggi hanno di fronte un mestiere molto più arduo di quello di una volta, e in una società complessa, contingente e contraddittoria, come quella attuale, commettono molti errori. Il più grave è quello di tendere ad assolvere i figli».
Parliamo di quest’aspetto, professore. «Giustificare i figli. I genitori lo fanno a scuola, dove il patto educativo con i docenti è saltato del tutto, dove si comportano come clienti di fronte all’ufficio reclami; lo fanno nel privato, asserragliandosi dietro l’affermazione “i figli devono rendesi conto da soli degli errori e dei pericoli”. In realtà, la società è talmente competitiva che oggi si è innanzitutto individui desiderosi di primeggiare ad ogni costo, anche sulla pelle degli altri. Troppi psicologi hanno parlato solo di autostima, di capacità di farsi valere e si sono dimenticati del rispetto dell’altro. Allora succede che saltano le coppie, dove non si riesce a trovare un’amorosa messa in comune di valori, obiettivi e abitudini; che i genitori difendano i figli anche quando sbagliano, perché in realtà è la loro dignità individuale che ne esce ferita».

Gli adulti non li capiscono, ma si comportano da ragazzi (abbigliamento, abitudini, uso e consumo dei social). È d’accordo? «Assolverei il giovanilismo dei genitori, per la semplice ragione che l’asticella della maturità si è alzata, e parecchio. Oggi a 60 anni sei maturo, non anziano. Quando un cinquantenne si veste con i jeans strappati non pensa di mettersi a confronto con i giovani, segue una moda. Così per i social: i giovani li usano di più solo perché sono della Net generation, ma non è che un cinquantenne non sa smanettare su uno smartphone o lo fa per sentirsi giovane. C’è però un discorso generale da fare: la trasversalità dei consumi è gradita ai produttori, perché allarga il mercato senza dover ricorrere a troppe differenziazioni. Magari la cosa farà piacere agli adulti. Certo». 
Vediamo ora il rapporto dal punto di vista dei figli. «I figli non si aspettano granché dai genitori, di certo non l’esempio, molto di più un’affidabilità economica, una difesa d’ufficio contro terzi, e una presenza leggera che non interferisca con le dinamiche del gruppo dei coetanei. Non per tutti è così, ma è difficile assolvere dei genitori che lasciano andare un figlio sedicenne in discoteca fino alle 5 del mattino. O hanno sbagliato prima o sbagliano in quel momento o non sono interessati più di tanto a quel che succede o succederà. Hai voglia a dire “ma mio figlio è un ragazzo modello” dopo che ha massacrato la sua fidanzata, o a meravigliarsi che abbia investito un passante perché guidava sotto l’effetto di stupefacenti. Il fatto è che per molti genitori i figli sono degli estranei, liberi di fare quello che vogliono, purché non interferiscano con la loro vita».

Dunque il modello di società attuale non è costruito intorno ai giovani e neppure quello lavorativo? «Nessuna società è mai stata costruita intorno ai giovani. I giovani la costruiscono per loro quando sono adulti. Il modello lavorativo e il modello di società, in una società in cui la dignità proviene solo dal lavoro, coincidono. Quindi, neppure il modello lavorativo è costruito intorno ai giovani. È necessario ricostruire i valori intorno a un’economia della partecipazione solidale in cui l’altro sia visto come risorsa, non come un potenziale avversario. Si deve lavorare per sostentarsi, per realizzare i propri interessi e le proprie abilità, per essere utile agli altri e cooperare alla crescita individuale e collettiva, ma il lavoro non va considerato un fine. Esso è strumentale rispetto alla realizzazione etica dell’uomo. Forse su questo bisognerebbe riflettere di più».