Lingue sciolte

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Favorisce la creatività, lo sviluppo mentale e l’associazione d’idee, anche se una definizione precisa ancora non c’è. Che cosa significa il bilinguismo per la scienza.
di Patrice Poinsotte

Guidare un taxi o fare il cameriere affina la memoria, fare l’architetto o il musicista stimola la creatività. Parlare più lingue produce, allo stesso modo, vantaggi di tipo cognitivo che, non solo migliorano la capacità d’attenzione e di risolvere problemi di vario tipo, ma hanno anche risvolti positivi in patologie neurologiche come l’Alzheimer o i disturbi specifici dell’apprendimento. E c’è di più. Diversi studi condotti negli Stati Uniti hanno confermato che la ricchezza dell’esperienza linguistica dei funamboli delle lingue ne affina il sistema uditivo così come la memoria di lavoro. Si tratterebbe perciò di una sorta di sostegno conoscitivo che provoca cambiamenti nel cervello, come testimoniano le risonanze magnetiche effettuate su persone che conoscono e parlano correttamente più lingue. Sembra, infatti, che la struttura del loro cervello abbia delle zone più sviluppate: l’ippocampo, le aree motorie e della corteccia cerebrale.

Nel vero senso della parola

Allora è giusto dire che la mente di una persona bilingue funziona in un modo diverso rispetto a quella di chi ne parla una sola? La risposta non è così semplice. Prima di tutto bisognerebbe chiarire che cosa significa la parola bilinguismo: i criteri sono, infatti, ancora troppo imprecisi e di varia natura per mettere tutti d’accordo su una definizione rigorosa del termine. Per alcuni essere poliglotta significa avere l’abilità di comunicare in più lingue, per altri, invece, grammatica e comprensione rimangono i criteri principali. Non è chiaro insomma il vero senso della parola. E se le opinioni divergono tra i comuni mortali, non si trova d’accordo neanche la comunità scientifica, incapace di dirimere una volta per tutte la questione. Possiamo perciò avere la padronanza di una lingua straniera fin dall’infanzia senza tuttavia considerarsi bilingue, perché cultura, usi e costumi, modi di dire sono diversi da quelli del paese d’origine.

Due is meglio che one

Un cervello, due lingue: una situazione solo all’apparenza da capogiro. In passato, infatti, per gli psicologi questa capacità poteva portare a una confusione mentale, sopratutto per i giovani, ma a partire dagli anni Sessanta con le ricerche degli studiosi Peal e Lambert sulla relazione tra bilinguismo e intelligenza nei bambini, la tendenza si è invertita: numerosi lavori scientifici hanno sottolineato una più grande “coscienza metalinguistica” cioè una maggiore propensione dei bilingue a risolvere compiti cognitivi che non chiamano in causa direttamente il linguaggio come, per esempio, un’equazione matematica. Tutto succede come se la mente avesse più dati a disposizione per risolvere i problemi con i numeri; una sorta di riserva linguistica che consente, per esprimere qualcosa, di usare due percorsi cerebrali, ciascuno dei quali lascia sfilare nel nostro cervello un’immagine diversa per descrivere una sensazione o esprimere un’idea unica. Le parole “pane” e “pain”, per esempio, nonostante abbiano lo stesso significato, non rimandano alle stesse rappresentazioni. L’italiano e il francese non lo vedono nella stessa maniera: il primo lo associa a un pasto a base di prosciutto e formaggio mentre il secondo immagina una baguette calda con burro e marmellata inzuppata nel caffè. Non fanno perciò parte dello stesso immaginario, non richiamano gli stessi ricordi, le stesse emozioni e nemmeno gli stessi codici sociali. Come dicono neuroscienziati e neurolinguisti, sono intricati in due reti di associazioni diverse.

Doppia… mente

Sinestesia. Sarebbe questa la parola giusta per spiegare meglio ciò che succede nella testa di un poliglotta. Si tratta del fenomeno che consente a due o più sensi di confondersi, vista e udito, per esempio. La scienza parla al riguardo di flessibilità cognitiva, cioè di abilità nell’usare il pensiero creativo, particolarmente sviluppata dai bilingue, che permette loro di concepire una seconda mappa linguistica che arricchisce il paesaggio mentale e allarga l’orizzonte del pensiero. «Al punto tale che alcune persone affermano che l’apprendimento di una lingua straniera ha addirittura cambiato la loro personalità: più aperti, sicuri di sé, tolleranti e pieni di immaginazione... », riferisce Susan Ervin-Tripp, ricercatrice presso il dipartimento di psicologia dell’Università di California. Il fatto di essere in grado di sfruttare un altro percorso cerebrale per esprimere un’idea, quando manca una parola – quella famosa che abbiamo sulla punta della lingua –, può generare combinazioni lessicali originali, talvolta strampalate, altre volte belle. In che lingua te lo devo dire? Più che un rimprovero, nel bilingue suona come un’opportunità.