Il richiamo della foresta

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La nebbia, i santuari e i monasteri, le sfumature di rosso e centinaia di chilometri di boschi avvolti in un’atmosfera surreale. Il Casentino dà il meglio di sé in autunno.
di Alessandra Bartali

Ci sono leggi non scritte che dettano i tempi di visita più adatti ai vari luoghi: per una vacanza al mare si sceglie giugno o settembre, onde evitare la calca, in montagna si prenota per marzo, quando la neve è fresca, nelle capitali nordeuropee a maggio, quando le temperature salgono insieme alle ore di luce. In Casentino, senza ombra di dubbio, si va a ottobre. Perché le sfumature di rosso-arancio che vedrete nelle foreste aretine sono la somma cromatica ed emotiva di tutti i tramonti ammirati nella vostra vita. E la nebbia da cui spuntano i cappucci dei frati di La Verna, ad annunciare l’inverno incombente, non solo dà la giusta cifra di mistero e misticismo che si dissolverebbe con il sole, ma induce all’introspezione. E se le foreste sono introspettive per definizione, figuriamoci quelle casentinesi.

Spirito... santo

Sì, perché qui, tra faggi e aceri maestosi, il più puro dei santi trascorse notti di preghiera, solitudine e rapimento, chiedendo poi di ricevere le stimmate per sentire un po’ della sofferenza provata da Gesù Cristo. Tutti, credenti e non, sono affascinati dalla figura di San Francesco: pensare alla sua storia mentre si percorre il sentiero che da Chiusi della Verna porta all’omonimo santuario, circondati da quel silenzio lattiginoso che regna ad ottobre, genera automaticamente pensieri pauperistici, almeno per qualche minuto. Anche solo immaginarsi senza cellulare né Sky go è già una piccola vittoria. Che dà le vertigini al pari del famoso Sasso Spicco, una roccia sospesa e staccata dalla parete su tre lati, dove il santo si ritirava in meditazione. Una sensazione potente affacciarsi a quel parapetto che dà sul vuoto, che diventa quasi dolce quando si scopre che comunque, anche nell’area del santuario, segnale c’è. E nelle camere gestite dai frati ci sono anche doccia e riscaldamento, quindi passarci una notte non è niente di estremo, anche se sul sito del santuario si invita a “mantenere le modalità di permanenza conformi alla natura del luogo”. E infatti di qui passano molti pellegrini e persone attirate dai corsi organizzati in loco: quelli di danza biblica e quelli prematrimoniali per fidanzati.

In cammino

Non c’è l’effetto rosso-autunno a dominare il bosco che dal monastero di Camaldoli porta all’eremo, ma quell’ora di camminata tra gli abeti dà ugualmente di che pensare. E non sempre sono pensieri piacevoli, soprattutto quando, nella farmacia dei monaci, l’entusiasmo per quei cosmetici realizzati con le erbe locali si scontra con la vista dello scheletro dietro alla cassa. “Questo è lo specchio in cui mirar ti dei, folle mortale”, si legge sopra l’immagine. Spietati, questi monaci. Ma si perdonano quando si scopre quello che hanno fatto per il bosco: secoli prima che esistessero istituzioni come gli enti parco, si erano dotati del Codice Forestale Camaldolese, incunaboli dove erano indicati gli strumenti di tutela dell’ecosistema e le sanzioni per chi non rispettava la natura. E pensare che nel nostro mondo civilizzato ancora qualcuno si scandalizza se chi lascia un mozzicone di sigaretta in un parco viene multato. Nel bigotto Medioevo si pregava, certo, ma a Camaldoli la gestione sostenibile dell’ambiente era parte ineludibile dei doveri dei monaci. I quali magari avevano il difetto di essere un po’ misogini nella gestione del loro territorio: oltre le tre croci disposte lungo il sentiero dal monastero all’eremo le donne non potevano spingersi, per non indurre in tentazione gli eremiti. Non stette al gioco Maria de’ Medici che, pur di sbirciare quel luogo segreto, si travestì da uomo, violando la clausura e dovendo costruire, per essere assolta dal peccato, una delle 20 celle tuttora esistenti.

Per chi suona il campanile

Anche i visitatori contemporanei spiano oltre il muro di sasso che protegge l’eremo, ma non riuscendo a vedere niente, presto tornano a volgere il loro sguardo verso la sterminata foresta casentinese. E che foresta: con i suoi 36mila ettari di cui l’80 per cento di bosco, questo parco è uno dei complessi forestali meglio conservati d’Italia. Nei 600 km di sentieri da San Benedetto in Alpe a Badia Prataglia la sensazione è di non essere mai i protagonisti, noi e i nostri consimili. Lo sono, invece, le faggete millenarie o i lupi, che ti guardano dritti negli occhi dai poster della maggior parte delle strutture ricettive della zona. L’uomo torna protagonista nei paesi che lambiscono la foresta, dove l’autunnale retorica referendaria stanca più che altrove: qui il referendum che conta si è già svolto nel 2012, quando i 12 Comuni esistenti hanno detto no al Comune unico. Non c’è ottimizzazione delle spese che tenga, quando in gioco c’è l’identità del campanile. E da queste parti al campanile ci tengono, anche se il vero vicino “nemico”, almeno nella provincia aretina, è sempre Firenze: la battaglia di Campaldino tra guelfi e ghibellini (a cui partecipò anche Dante Alighieri), sembra successa ieri, a giudicare dalla minuzia con cui è riprodotta nel castello di Poppi (con tanto di deriva splatter sotto il pavimento vetrato a ricordarne i toni crudi). Era il 1289 e segnò l’egemonia di Firenze per i secoli avvenire. Quella Firenze che però il bagno in Arno se lo sogna: il fiume volterà anche le spalle ghignando ad Arezzo, come scrive Dante, ma agli abitanti di Stia basta fare pochi passi per godere delle sue acque pulite prima di prendere un aperitivo nella bella Piazza Tanucci, ribattezzata Piazza Ciclone dopo il film di Pieraccioni.