Un gruppo Facebook, Il Molise non esiste, con quasi 15mila like. Un hashtag dal titolo #Molisnt. Una storia su Storify – il social network narrativo – incentrata sul “negazionismo molisano”, carica di brevi considerazioni che ironizzano sulla regione più piccola e meno appariscente d’Italia: «L’amore vero è come il Molise. Esiste per chi lo vive ma tutti gli altri non ci credono», afferma un certo Genio78. Non sono solo le dimensioni regionali ridotte a scatenare la burla, è anche l’apparente assenza di tratti distintivi, di un monumento assurto a simbolo, di piatti tipici veramente distinti da quelli di altre regioni italiane. In una parola, l’assenza del brand Molise.
Bella scoperta!
C’è chi sostiene che proprio questo gioco negazionista sarebbe un ottimo spunto per una campagna promozionale efficace e divertente. Invece per ora si continua ad attendere improbabili iniziative dei vari Robert DeNiro e Don DeLillo: comprassero anche loro un rudere per trasformarlo in relais di lusso nella terra dei loro antenati, come ha fatto Francis Ford Coppola nella Basilicata dei suoi nonni (ecco spiegata Matera capitale europea della cultura nel 2019, dice qualcuno). Eppure, quello che non hanno fatto le star di Hollywood dalle radici molisane potrebbe farlo la democratizzazione del viaggiare: le Alpi, viste; le città d’arte, viste; la Toscana, vista e rivista. E se andassimo tutti in Molise? Se andiamo, viene fuori che questa miniregione è stupenda. Si passeggia per borghi finalmente sperduti, si scia sulle vette dell’Appennino, si guarda il sole che sorge sui trabocchi della costa, si assiste a festival anacronistici dedicati alla zampogna o al ballo dell’orso e si girovaga fra castelli di ogni sorta. Sembra il classico vagheggiato ritorno a una dimensione astratta dalla frenetica vita contemporanea. Ma in Molise c’è molto di più.
Capacità di comunicazione
Tanto per fare un esempio, i rinomati castelli non sono solo il puzzle di una storia passata, ma si legano alla vita presente ospitando iniziative, come i corsi di formazione per manager basati sulle strategie del gioco degli scacchi. E cosa c’è di più contemporaneo della ricerca del successo aziendale? Ecco, cosa c’è: l’utilizzo di internet a fini comunicativi. È proprio legandosi ad esso che il borgo di Civitacampomarano sta provando a rinascere: questo paesino di bassa montagna ha preso in prestito i loghi più conosciuti agli smartphonedipendenti per dare una nuova veste alla grafica cittadina. Camminando dal cinquecentesco Castello Angioino alle case-atelier di artisti locali intenti a scolpire pietra e legno, ci si imbatte in buche delle lettere con il logo di Gmail e vecchie cabine telefoniche ribattezzate punti WhatsApp, mentre i vecchi del paese parlano di politica locale sotto una bacheca firmata Facebook.
Questa commistione tra presente e passato è nata nel 2016 con il CVTà Street Fest, un festival dell’arte di strada che ha permesso ad alcuni street artist di colorare gli scorci più desolati del borgo, con anziani e bambini a suggerire le location più suggestive. Un trionfo di comunicazione intergenerazionale nel nome dell’arte.
Restare sul classico
Storcono il naso gli abitanti della vicina Oratino, per i quali l’arte vera sono le opere pittoriche, d’indoratura e d’intaglio, chiuse nelle loro chiese (la più bella è Santa Maria di Loreto, completamente affrescata). Da queste parti ci si affida agli stimoli classici, di cui fa parte la suggestiva Torre arroccata su uno sperone roccioso con vista sulla vallata del fiume Biferno. E per quanto riguarda la comunicazione, si rispolvera addirittura il latino con la rivista locale Hebdomada Aenigmatum, dove si trovano cruciverba, notizie di attualità e addirittura una striscia del fumetto Snoopy nella lingua morta, il tutto corredato da un sudoku in numeri romani. Girando in questo angolo remoto d’Italia si respira l’aria pura dei boschi che hanno lasciato poco spazio al cemento.
Fino ad arrivare a Cerro al Volturno, un paese che ad un albero (un tipo di quercia) deve il suo nome. Chi ha passato del tempo a ricercare francobolli da collezione riconoscerà il Castello Pandone, che già dall’anno Mille serviva a conservare cibi e foraggio e poi nel Quattrocento fu trasformato in un vero e proprio maniero. La vista da qui è lo sfondo ideale per la foto ricordo.
Per chi suona la campana
Per il resto sono boschi, boschi e ancora boschi, il cui verde scuro dirada lentamente nelle tonalità dei faggi del vicino Parco Nazionale d’Abruzzo, che nel nome contiene anche Molise (e pure Lazio), anche se nessuno se lo ricorda mai. A febbraio i faggi sono ricoperti di neve, ma non per questo il Parco offre meno spunti di visita: oltre a sciare, ci si avventura in escursioni alla scoperta del lupo e dell’orso, con tanto di ciaspolate notturne e polentate in baita di montagna. Se non siete riusciti ad avvistare lupi e orsi, potete ripiegare sui cavalli dei numerosi agriturismi nella campagna che lentamente porta verso il bellissimo borgo di Agnone, dove torrenti e vallate innevate accrescono la dimensione fiabesca del territorio. Il sonoro della fiaba è dato senza dubbio dalle campane che ad Agnone la Premiata Fonderia Papale realizza dal Trecento.
Il concerto finale del mastro campanaro che suona una canzone con otto campane vale da solo il tour dell’azienda e dell’annesso museo. Chi crede di far colpo suonando i bicchieri a fine cena, non è mai stato ad Agnone.
Che esiste, come la regione che la ospita. Va solo scoperta.