Proprietà di linguaggio

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13 Marzo 2017
Morale, emozioni e senso del risparmio. Come, parlando una lingua anziché un’altra, cambiano non solo le parole ma anche i pensieri.
di Patrice Poinsotte

Would you be willing to sacrifice a person to save five? Seriez-vous prêt à sacrifier une personne pour en sauver cinq? Siete pronti a sacrificare una persona per salvarne cinque? Una domanda, tre lingue, ma quante risposte? Dalle ultime ricerche sembra, infatti, che l’influenza sulla nostra mente della lingua parlata, d’origine o straniera, sia molto più profonda di quanto si pensasse: in italiano, francese o inglese, la risposta non è necessariamente la stessa perché una questione morale è anche una questione linguistica.

Genealogia della morale
Esprimersi in una lingua straniera produce, infatti, strani effetti collaterali sulla nostra psiche: snatura la moralità. Ecco quello che ci dicono gli scienziati dopo l’analisi dei risultati del dilemma morale del treno. Si tratta del seguente esperimento di pensiero: “siete accanto a un binario, dove si trovano cinque malcapitati sui quali sfreccia un treno. Che si fa? Si lascia il convoglio travolgere i disgraziati oppure si interviene azionando una leva e deviando così il treno su un altro binario dove però c’è una persona?”. Scelta tutt’altro che semplice: “è meglio non fare nulla e lasciare morire più persone o intervenire e causare il decesso di una?”. Ebbene, la risposta ha a che fare con la lingua più che con la morale, come i risultati del test dimostrano un po’ a sorpresa. Per le persone interpellare nella loro madrelingua prevale il divieto morale di uccidere, mentre quelle interpellate in una lingua imparata preferiscono una scelta “utilitaristica”, cioè accettano di sacrificare una persona per salvarne cinque. «Ci sono indicazioni che la lingua madre sia generalmente più emotiva di una seconda lingua – spiega Francesco Foroni, professore presso il dipartimento di psicologia della Australian Catholic University –, nel senso che nella nostra lingua abbiamo delle reazioni emotive più forti».

Forma mentis
E proprio le emozioni pare siano condizionate dalla lingua usata, d’origine o appresa. Chiamati a giudicare una relazione sessuale incestuosa tra fratello e sorella, entrambi maggiorenni, non tutte le persone interrogate hanno, infatti, risposto nello stesso modo. Dall’analisi dei risultati viene fuori uno schema, cioè una relazione forte tra stato d’animo e linguaggio: le reazioni sono, infatti, molto più inflessibili e l’atto viene giudicato più immorale nella sua propria lingua che in una acquisita, parlando la quale si diventa più tolleranti. Come se padroneggiare una lingua straniera non solo arricchisse il bagaglio culturale, ma anche quello delle emozioni, dando ad esse sfumature diverse. La lingua avrebbe insomma la proprietà di dare forma a nuove emozioni. «Quando processiamo informazioni di natura emotiva – commenta Foroni – l’organismo mette in atto gli stati fisiologici caratteristici di quest’emozione che si attenuano drasticamente in una lingua imparata. Un fenomeno questo che può rivelarsi molto utile perché aiuta a creare la distanza emotiva necessaria per affrontare un trauma nel corso della terapia».

Pensieri e parole
La morale della madrelingua – diciamo così – sembra faccia più ricorso ai sentimenti profondi, viscerali, quelli che nel linguaggio tecnico sono definiti il gut-level feeling, mentre giudizio e enneci razionalità hanno più a che fare con la lingua acquisita. Perciò per prendere le distanze dalle cose meglio non comunicare nella propria lingua perché, conferma Catherine Harris, professoressa di psicologia presso la Boston University (Usa) «esprimersi in una lingua straniera fa assumere un atteggiamento deliberativo, fatto di riflessione e di scelte. E perché – aggiunge – il nostro linguaggio d’origine risuona di mille emozioni spesso riattivate non appena usiamo parole chiave associate a souvenirs ». Per dimostrare questa teoria, la Harris e la sua équipe hanno elaborato un esperimento con dei turcofoni che dovevano ascoltare alcune parole neutre, altre tabù e dei rimproveri. Gli esiti dell’esperimento hanno mostrato che pronunciate nella loro lingua le parole sensibili provocavano un disagio più forte che in inglese. E qui sorge spontanea la domanda sul vero senso della morale: si tratta di qualcosa di annidato nei nostri ricordi o è il frutto di un ragionamento non sottomesso a costrizioni inconsce? Comunque sia, una cosa è certa, come un filosofo ha detto: «cercando le parole si trovano i pensieri».

 

In che lingua te lo devo dire?
Italiano, inglese, russo o cinese. La lingua che parliamo dalla nascita condiziona profondamente la nostra visione del mondo. E gli effetti sono molti di più e più vari di quello che si pensa. La lingua è perfino in grado di incidere sulla nostra attitudine al risparmio: i cinesi non dispongono di un tempo verbale preciso per indicare il futuro perciò hanno una propensione a mettere da parte il 30% in più rispetto a chi parla lingue più definite. Anche il genere dei nomi incide su come si guarda il mondo. Lo svela uno studio condotto su bimbi ebrei e finlandesi. I primi si accorgono in media un anno prima di essere maschi o femmine perché la loro lingua assegna quasi sempre il genere alle parole, mentre in finlandese questo non accade. Insomma Shakespeare non aveva torto: ciò che chiamiamo rosa non profumerebbe così tanto se lo chiamassimo con un altro nome.

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