Il bel tempo avanza e le campagne si affollano di cittadini in cerca di riposo, di quiete, di prodotti genuini (per la verità non sempre, ma è l’immaginario che vince). L’agriturismo va forte, è una voce decisamente in crescita di un’economia non proprio in gran forma. Il turismo in campagna è importante perché recupera una dimensione fondamentale della nostra storia e della nostra cultura. Si dice che l’Italia è una terra di città ed è assolutamente vero, molto più vero che per qualsiasi altro paese. Ma sono città cresciute, dal Medioevo in poi, in un rapporto strettissimo e organico con la loro campagna. Città che sulla campagna hanno molto inciso, sollecitando lo sviluppo di certe colture (le vigne, gli orti) e modellando il paesaggio agrario secondo le proprie esigenze alimentari e commerciali. A sua volta, la campagna ha pesato molto sullo sviluppo delle città, arricchendole di uno straordinario patrimonio culturale e produttivo. Di questo patrimonio comune, cittadino e rurale, sono parte integrante le forme di ospitalità e le tradizioni gastronomiche.
Le abilità, i saperi che nel corso dei secoli si sono sedimentati attorno ai prodotti, alle ricette, al piacere dell’accoglienza e del mangiare insieme non nascono né dalla cultura rurale né da quella cittadina, ma dal fecondo incrocio delle due esperienze. Il cittadino in campagna e il contadino in città. I prodotti della terra e il mercato urbano. In questa dinamica la città italiana ha sviluppato una specifica vocazione rurale, sintetizzando la cultura del proprio territorio e mettendola in gioco, diffondendola, facendola conoscere. Tale meccanismo ha consentito, nel tempo, di mettere a frutto le risorse della terra e il lavoro dei contadini.
Esemplare è il caso dei prodotti che siamo soliti definire tipici e delle ricette che li accompagnano: frutto di tradizioni e di equilibri produttivi definiti su base rurale, essi trovano una più ampia valorizzazione nel momento in cui il mercato, ossia la città, li preleva dal territorio e li mette in circolazione, rielaborando in chiave cittadina una cultura di origine contadina. A costo talvolta di snaturarne il senso, estrapolando singoli elementi (prodotti o ricette) dal contesto che li ha resi possibili. Di tutto ciò dovrebbe essere consapevole il turista, solitamente cittadino, quando si avvicina alla campagna per trarne conforto e ristoro. Guardandosi dalla tentazione, ambigua e mistificatoria, di ricercare nella campagna una mai esistita naturalità e un non so che di selvatico che si opporrebbe alla civiltà urbana, egli farebbe bene a riflettere sulla profonda integrazione – non priva di contraddizioni – che storicamente ha collegato l’una all’altra. Il turista in campagna non visita un altro mondo, ma riflette sulle proprie radici.