Il Salento, d’estate, è un caos. Ed è un caos adattissimo a chi cerca la movida tra concerti all’aperto, sagre e spiagge dove il bianco della sabbia emerge a fatica tra i colori sgargianti degli asciugamani. Tuttavia la certezza che da anni non sia più la perla nascosta del Sud Italia lo dimostrano almeno due fattori, oltre ai dati oggettivi delle presenze: l’appellativo di Salentoshire, ad indicare, al pari di quanto già successo al Chianti, il numero crescente di facoltosi turisti stranieri che cercano un buen retiro nelle masserie, e una campagna dal dubbio gusto ideata, l’estate scorsa, da alcune località turistiche romagnole, in cui sull’immagine di una piadina con squacquerone e prosciutto campeggiava la scritta “Ma che ne sanno a Gallipoli”.
Solo noi
Evidentemente, se sono riusciti a scomodare lo spirito di competizione della patria nazionale del turismo estivo di massa, a Gallipoli e dintorni di come attrarre visitatori se ne intendono, nonostante Flavio Briatore abbia pubblicamente snobbato quelle “masserie e casette” che a suo dire non attirano chi ha soldi da spendere come invece farebbero hotel extralusso sul mare e porti per gli yacht. Per chi non è dotato di yacht, masserie e casette vanno benissimo, soprattutto prima che l’isteria collettiva d’agosto prenda il sopravvento. A maggio, infatti, il Salento è una favola anche a Nardò, Ostuni o Galatina, prese d’assalto nei mesi estivi, e non occorre spingersi nell’enclave ellenica della cosiddetta Grecia salentina, una regione dai ritmi lenti come il suono del dialetto neo-greco che vi si parla, fuori dai circuiti mainstream nonostante proprio in questa zona, a Melpignano, si svolga il concerto dei concerti: la Notte della Taranta, ad agosto naturalmente. A maggio non occorre aspettare il proprio turno a Leuca, il paese più a sud del tacco d’Italia, per riuscire a farsi una foto da soli al santuario di Santa Maria de Finibus Terrae. Soli qui bisogna essere, perché niente rovina questa malinconica atmosfera di confine come il vociare dei turisti, e non è affatto male continuare a escludere l’elemento umano scendendo verso il mare, dove le falesie che coronano l’ultimo lembo d’Italia sono costellate di grotte emerse e sommerse, alcune delle quali cariche di manufatti neolitici e fossili del pleistocene.
Secondo le leggende
Il tuffo più scenico è quello immediatamente sopra le Grotte della Poesia a Roca, non solo per le connotazioni leggendarie delle acque che le circondano, che donerebbero l’eterna giovinezza e sarebbero un luogo propizio per i giuramenti d’amore. Di leggende, d’altronde, il Salento vive. La più nota è quella alla base della taranta (o pizzica che dir si voglia), una tradizione a metà tra la danza e il rito terapeutico domiciliare, che secondo credenze antiche serviva a curare un fenomeno convulsivo scatenato dal morso di un ragno. L’efficacia della pizzica durerebbe secondo la leggenda circa un anno e le persone morse (generalmente giovani donne nubili) dovrebbero essere curate per vari anni prima di guarire completamente. Nessuno crede davvero a questa storia – anche se c’è da scommettere che le vecchine di Grottaglie si guardino tra loro circospette davanti ad un attacco epilettico o magari anche alla bizza di un bambino –, ma questo non ha in alcun modo ridimensionato il valore della pizzica, con cui i giovani salentini si cimentano sempre volentieri, magari aprendola a qualche contaminazione. Non si può dire di essere stati in Salento senza aver ballato a quel ritmo fatto di tamburelli, fisarmonica e flauti, anche se la taranta esplode in piena estate: che sia legato alle lunghe code in direzione spiagge e alla scarsità di parcheggi liberi?
In tutta tranquillità
Prima che l’isteria abbia inizio si gira in tutta calma nel borgo di Ostuni e nei numerosi centri storici ricchi di manifestazioni barocche, dove il tufo prende la forma di facciate esuberanti e visionarie. Si guarda la prima alba d’Italia dal faro di Punta Paloscia a Otranto, porta d’Oriente, si fa un pranzo a base di ottima carne nell’entroterra, storcendo magari un po’ il naso quando si viene a scoprire che era carne di cavallo, e qualche ora dopo siamo a mangiare frise ammorbidite con pomodori e origano e a bere Primitivo o Negroamaro (entrambi vini locali) mentre il sole cala sul mare di fronte a Gallipoli, con i pescatori che rientrano a terra. Gli unici impedimenti saranno quelli dei No Tap, gli oppositori al gasdotto che dall’Azerbaijan, attraverso la Puglia, trasporterà circa 10 miliardi di metri cubi all’anno di gas naturale, causando sofferenza a alcuni olivi della zona. Perché gli olivi, da queste parti, sono tanto preziosi che il parco dei Paduli, nei dintorni Lecce, con il suo uliveto di quasi 6mila ettari, è chiamato a rappresentare l’Italia al premio europeo del paesaggio. Nonostante neanche Taranto (spesso percepita come sinonimo di acciaierie e diossina) sia immune alla bellezza architettonica pugliese, con il suo borgo antico fatto di viuzze ingarbugliate, se proprio si deve lasciare il ritmo lento di borghi e campagne la meta prediletta è Lecce, dove il barocco impazza tra chiese e palazzi storici dando alla città un’atmosfera maestosa ma mai altezzosa, che si lascia guardare col sorriso e la bocca intenta ad addentare un rustico leccese seguito da un bicchiere di Salice Salentino, da gustare al volo prima di continuare a scoprire la città. Esistono naturalmente modalità di visita meno frugali e più eleganti, ma ricordatevi sempre: porti per i vostri yacht il Salento non ne ha.